Galatea Ranzi in "Fedra. Diritto all'amore"

Una Fedra contemporanea

La bravissima Galatea Ranzi dà corpo al personaggio immortale di Euripide ma sul testo scritto dalla studiosa Eva Cantarella, diretto da Consuelo Barilari. Il progetto è buono, malgrado una certa invadenza dei materiali videoMaria Grazia Gregori


Quando si apre il velario che funge idealmente da sipario, le prime immagini sono quelle proiettate di un lembo di terra riarsa a strapiombo sul mare. Ma – per così dire – il nostro punto di vista non resta fisso, è in movimento.  Per chi scrive è questione di un attimo, poi ecco il “mi ricordo”  di una liceale che si rivede, con i suoi amici, in un cinema di Milano, agli inizi dei Sessanta, per vedere la Fedra contemporanea di Jules Dassin (con Melina Mercouri, Raf Vallone, Anthony Perkins), tutti attratti dalla modernizzazione estrema della tragedia euripidea che non si intitola Fedra ma Ippolito, perché bisognerà aspettare Seneca e poi Racine, D’Annunzio per intitolare con il nome della protagonista una pièce teatrale. L’Aston Martin che corre a rotta di collo su quella collina accidentata è quella di Anthony Perkins, destinata  di lì a poco a scontrarsi con un autocarro e a cadere in mare.

La citazione del film di Dassin, peraltro, nello spettacolo che si presenta al Franco Parenti di Milano e che ha come protagonista la bravissima Galatea Ranzi è già una dichiarazione d’intenti: rendere questa donna che reclama il suo “diritto all’amore” – come dice il sottotitolo – nostra contemporanea, costruendole attorno un testo come quello scritto da un’importante specialista della cultura  greca, Eva Cantarella, che nasce certo dalla tragedia ma con l’intento di rendercela immediatamente vicina, con un parlato del tutto quotidiano.

Una pièce ricca di sfumature per quel che riguarda la psicologia della protagonista figlia di Pasifae, la madre che generò il Minotauro dai suoi amori con un toro, che non si nasconde ma racconta la catena di trasgressioni che hanno pesato sulla sua famiglia ma per la quale la cosa fondamentale è l’innamoramento nei confronti del giovane figliastro scoppiato durante l’assenza del marito lontano per i suoi traffici. Innamoramento fatale che Fedra rivive in flash back, perché quando inizia la storia, Ippolito si è già ucciso e lei racconta di avere  sempre e comunque avuto il diritto di viverla fino in fondo aldilà di qualsiasi convenienza, come spiega ai suoi concittadini e anche a chi  cerca di farla ragionare. Attualizzazione che continua per tutto il pregnante monologo fino alla fine  quando la donna si suicida con della pillole, sdraiandosi, per morire, in una grande vasca da bagno. I versi greci scanditi da una voce maschile nel corso dello spettacolo ci risultano così misteriosi  come una profezia, quasi fossero un incubo sognato dalla protagonista.

L’idea è buona ma in più di un punto si morde la coda  per l’eccessiva presenza di filmati, emotion graphics, di video che rendono talvolta ridondante e dispersiva la regia di Consuelo Barilari. Ma la Fedra di Galatea Ranzi, parca di gesti, sa catturarci nel suo mondo interiore, nella incredibile fatalità degli avvenimenti della sua storia, nella sua consapevole ribellione, con una presenza totalizzante, che si ricorda.

Visto al Teatro Franco Parenti di Milano. Repliche fino al 16 novembre 2014

Fedra – Diritto all’amore
Testo originale di  Eva Cantarella
con Galatea Ranzi nel ruolo di Fedra
regia e immagini  Consuelo Barilari
consulenza drammaturgia e testi greci Marco Avogadro
musiche Andrea Nicolini
luci Liliana Iadeluca
editor video ed immagini Angela Di Tomaso
creazione oggetti di scena Paola Ratto
sarta Umberta Burroni
suono Rinaldo Compagnone
la canzone finale è di Carmen Consoli
produzione Festival dell’Eccellenza al Femminile – Schegge di Mediterraneo