Il Franco Parenti di Milano omaggia il ricordo del fondatore affidando a Gioele Dix il ruolo che fu del mattatore. La regia di Andrée Ruth Shammah ripercorre l’originale ma lascia liberi gli attori di esprimere le proprie peculiarità – Maria Grazia Gregori
In memoria di un attore amico, anzi amatissimo. Il teatro Franco Parenti onora uno dei suoi numi fondatori a venticinque anni dalla sua morte mettendo in scena uno dei suoi cavalli di battaglia Il malato immaginario di Molière. Ma prima, ad apertura di sipario, introdotto da Andrée Ruth Shammah, un breve filmato ci rimanda le immagini del grande attore in frammenti di alcuni famosi spettacoli, soprattutto su testi di Testori, da lui interpretati. Chi ha amato di Franco, come chi scrive, la rude complessità, la semplicità, il grande, schivo talento, lo ricorda con affetto. Ma come nella vita di cui, sostiene Shakespeare, il teatro è specchio, si deve andare avanti, così succede anche nella scena: nel segno di ciò che si è cominciato, guardando però al futuro.
Dei tre creativi “incoscienti” di allora – Parenti, Testori, Shammah -, che si unirono insieme per vivere una nuova avventura, è rimasta solo Andrée, che giustamente della storia dell’ex Salone Pier Lombardo, oggi Teatro Franco Parenti, sente tutto l’orgoglio: del resto è toccato a lei traghettare questa struttura, che oggi conta più sale, dal secolo breve al secolo nuovo.
E allora che Il malato immaginario sia: con le stesse scene affascinanti nella loro semplicità e con i bei costumi di Gianmaurizio Fercioni, come trentacinque anni fa. Ma con attori ovviamente diversi e una regia, allora molto lodata, che certo ripercorre i suoi passi ma che è, allo stesso tempo, diversa perché le psicologie, le personalità, le caratteristiche degli interpreti sono diverse. A cominciare dal protagonista che è Gioele Dix che a quello storico spettacolo ha partecipato. Una sfida per questo bravo attore al quale, ormai da tempo, i panni di intrattenitore solitario andavano stretti.
Seduto su di una rossa sedia a rotelle, un tavolino anch’esso a rotelle su cui tintinnano ampolle per le medicine e strumenti medicali, in uno spazio quasi metafisico, delimitato verso il fondo da tre porte, il suo Argan che ci parla nella bellissima traduzione “contemporanea” di Cesare Garboli, mette inconsapevolmente nelle mani dei medici la sua vita. Nella regia di Shammah – e questa a me pare una novità importante rispetto allo spettacolo di 35 anni fa – l’Argan di Dix è una specie di Oblomov ante litteram, che spreca la sua vita fra poltrona, lettino, toilette, clisteri, salassi. Non è un personaggio nero, non sentiamo in lui la crudeltà di chi sulla propria malattia, per di più di fantasia, specula per sottomettere alla sua splenetica visione della vita chi gli sta vicino. Ci sentiamo invece, sotto la candida cuffia a pizzi, nella vestaglia bianca di cui possiamo immaginare il lezzo malgrado si vaporizzi di profumo, nelle calze bianche molli sui piedi ciabattanti, una debolezza a volte innata, l’incapacità genetica di prendere una decisione.
Fragilità il tuo nome è maschio? Del resto sono i dottori, il fratello, soprattutto le donne a decidere per lui, vista la sua incapacità di capire quelli che – come la seconda moglie, ma anche le figlie, il fratello e soprattutto l’onnipresente serva, i medici succhia soldi -, decidono la sua vita tessendo intrighi non solo interessati o malvagi ma anche a fin di bene. L’Argan di Dix (quel ritmo trafelato che tanto amiamo in Molière gli manca un po’ ma verrà sicuramente raggiunto nel corso delle repliche) è dunque costruito sull’inconfessabile consapevolezza di chi ha capito il gioco, ma è sempre pronto a illudersi umanamente che non sia così. Il suo alter ego, il suo “sparring partner” come dicono i cultori di boxe, è Antonietta, detta anche Tonia (ruolo che fu di Lucilla Morlacchi, grande attrice scomparsa di recente) una cameriera tuttofare, che il padrone vive spesso come un incubo, superpresente impicciona che vede tutto e tiene in mano tutto, a partire dal destino dei padroni. Veste come una suora infermiera, grembiule, soggolo e copritesta bianchi su lunghi abiti neri, ma è anche pronta a trasformarsi – se serve – con l’aiuto di un cilindro e di un cappotto in un medico immaginario. A interpretarla con foga determinata, infondendo al personaggio l’immagine di un inarrestabile ciclone è Anna Della Rosa che unisce con levità una libertaria sfrontatezza alla capacità mimetica di non rivelarsi mai del tutto agli altri, che sono sempre un po’ sul chi va là di fronte a questa donna dalla quale non sanno se aspettarsi attenzioni o guerra.
Argan e Tonina, dunque, sono le due facce opposte di uno stesso mondo. Gli altri personaggi sono la fedifraga, interessata moglie di Argan in scarpette rosse di Linda Gennari, le due figlie di primo letto – l’innamorata Valentina e la pettegola bambina Luisona – entrambe interpretate da Valentina Bartolo, e poi Beraldo, fratello del protagonista, di Pietro Micci, il Cleante innamorato, all’apparenza infelice, di Francesco Ferrazza Papa, il gruppo dei dottori dal camice bianco e dalla lunga palandrana nera, capitanati dal Purgon di Marco Balbi, il Fecis di Piero Domenicaccio che lo interpretò anche nella versione del 1980, Alessandro Quattro (anche notaio) e l’esilarante giovane Purgon di Francesco Brandi, logorroico e scatenato innamorato non corrisposto di Angelica.
Visto al Teatro Franco Parenti di Milano. Repliche fino al 1° marzo 2015
Il malato immaginario
Omaggio a Franco Parenti
di Molière
traduzione Cesare Garboli
regia Andrée Ruth Shammah
scene e costumi di Gianmaurizio Fercioni
luci di Gigi Saccomandi
musiche di Michele Tadini e Paolo Ciarchi
con Gioele Dix
Anna Della Rosa
e con Marco Balbi, Valentina Bartolo, Francesco Brandi, Piero Domenicaccio, Linda Gennari, Pietro Micci, Alessandro Quattro, Francesco Sferrazza Papa
aiuto regista Benedetta Frigerio
assistente allo spettacolo Diletta Ferruzzi
direttore dell’allestimento Alberto Accalai
macchinista Paolo Roda
elettricista Domenico Ferrari
sarta Caterina Airoldi
scene dipinte da Santino Croci e Federico Carrassi
e realizzate da Tommaso Serra presso il Laboratorio del TEATRO FRANCO PARENTI
costumi realizzati dalla sartoria del TEATRO FRANCO PARENTI diretta da Simona Dondoni
calzature Pedrazzoli
foto di scena Fabio Artese
Produzione Teatro Franco Parenti