Il lungo addio di Sylvie

Partito da Modena il farewell tour della celebre danzatrice toccherà i quattro continenti, per chiudersi in Giappone a fine dicembre. Ecco la cronaca della serata – Silvia Poletti

È un lungo addio quello che ha deciso di dare al suo pubblico, planetario, Sylvie Guillem. Al giro di boa dei 50 anni la danzatrice francese che negli ultimi trent’anni ha rivoluzionato il modo di vedere la danza e le danzatrici ha deciso di fare l’ultimo inchino, prendere l’ultima acclamazione. Il tour, che si chiuderà a Tokyo il 31 dicembre dopo aver toccato tutti i continenti, è partito il 31 marzo da un Teatro Comunale Pavarotti di Modena affollato fino all’ultimo posto.

Il programma – asciutto, rigoroso, sofisticato – rappresenta al meglio la Sylvie delle scelte artistiche nette, curiose, che vanno diritte a quello che le interessa di più: la materia danza, che si fa carne, muscoli, tendini pronti a piegarsi, curvarsi, guizzare, avvolgere lo spazio dominati da un controllo mentale e fisico che è anche padronanza assoluta e totale della tecnica, capace di cesellarsi nelle dinamiche più evanescenti per poi stagliarsi improvvisamente, con bagliori di bellezza mozzafiato quando guizza in classicissimi entrechats o in una piroetta. Una danza cerebrale, ma non per questo algida: anzi vibrante di un lavorio intellettuale incessante, meticoloso – quasi un arrovello che sembra rivelarsi anche nei muscoli così lavorati (perché funzionali ‘per’ danzare; non per essere mostrati) – che nasconde un’altrettanta irrequietezza emotiva.

Per Life in progress Guillem ha scelto quattro autori che hanno segnato momenti importanti per la sua carriera: William Forsythe, Russell Maliphant, Akram Khan e Mats Ek. Il primo, che ne esaltò l’unicità in In the middle somewhat elevated (1987) e nel corso del tempo l’ha accompagnata con creazioni strepitose, è omaggiato da un poderoso Duo maschile, interpretato da Brigel Gjoka e Riley Watts: un continuum senza soluzione che parte da una suadente declinazione di movimenti delle braccia e delle spalle per poi dilagare per il corpo e per lo spazio, con una costruzione che prende il via da un postulato teorico ma diventa materia fisica per una danza incandescente e vitale.

Due novità assolute pensate proprio per il finale di Sylvie sono state firmate invece da Akram Khan e Russell Maliphant. Tra i più importanti esponenti della danza contemporanea britannica, i due in maniera diversa hanno messo in evidenza straordinarie peculiarità della loro interprete.

Nel duetto Here & After di Maliphant, danzato insieme alla brava solista del Teatro alla Scala Emanuela Montanari, Guillem esalta così con devozione sacrale l’intensità e la complessa calibratura di energie, flussi dinamici e fusion di tecniche e stili che appartengono alle più diverse culture – dal tai chi chuan alla capoeira, dallo yoga al kendo, all’indiana barata natham, – in un melting pot che non giustappone i codici ma li filtra, collega, amalgama e plasma in un’elaborazione di dinamiche che hanno come costante imprescindibile l’armonia e la bellezza del corpo in movimento.

Nell’assolo Techne, invece, Akram Khan fa dialogare Sylvie con un piccolo proiettore di luce semovente, issato su un piedistallo, roteante nello spazio circostante. Chi domina chi? La danzatrice l’oggetto o viceversa? In un lento movimento di avvicinamento – dopo aver preso gradualmente coscienza di sé, articolando giuntura per giuntura, arto per arto il proprio corpo – la donna acquisisce una dinamica più complessa, articolata, fatta di giri, salti, tensioni: il canto di Alies Skuiter, dal vivo, con le percussioni di Prathap Ramachandra e Grace Savage, cadenza le sequenze, anodine, dominate dalla potente fisicità di Guillem.

È però ancora una volta con Bye di Mats Ek che la danzatrice rivela l’arrovello interiore di cui parlavamo. Le fragilità, le piccole paure, le molte curiosità nel cercare di capire l’esistenza – la sua, la nostra. Gli occhi, proiettati su di noi con un ottimo gioco di video, ci scrutano incuriositi e un po’ preoccupati: da una porta magica che l’espelle e poi la inghiotte, Guillem entra ed esce, scappa e si rifugia. In questo ritratto al femminile, dove la bellezza fulgida della grande stella si mortifica in una gonnella gialla, scarponcini e una treccia rossa spettinata, Guillem vaga irrequieta alla ricerca di qualcosa, qualcuno. Il corpo si curva, si slancia, le lunghe gambe disegnano saette nervose mentre le mani vagano sul naso, con gesti infantili, o tirano la sottana di qua e di là. Ek si insinua da par suo nelle pieghe intime della donna Sylvie e la ritrae senza infingimenti: con quel bellissimo finale nel quale la fa allontanare insieme ad altra gente, reinserendola nel grande flusso della vita, sembra dirci che in fondo abbiamo tutti lo stesso destino, le stesse strade da percorrere.

Sarà anche vero: ma vederla sparire dentro quella parete bianca, vedere chiudere il sipario sul suo inconfondibile sorriso di ragazzina e sapere che è per l’ultima volta non è affatto consolatorio. La vita senza la danza di Sylvie Guillem sarà senz’altro molto meno bella.

Visto al Teatro Comunale Luciano Pavarotti di Modena, il 31 marzo 2015. Prossime date in Italia: Auditorium Parco della Musica, Roma, 2 aprile; Teatro Carlo Felice Genova, 5 luglio

Tutte le date del tour sulla  pagina ufficiale FB di Sylvie Guillem