Davvero ottimo il cast vocale ma direzione alterna, regia ridotta ai minimi e allestimento a dir poco essenziale non consentono, malgrado i convinti applausi finali, di parlare di successo pieno – Davide Annachini
Nel cartellone della Scala di Milano l’Otello di Rossini figurava come un appuntamento atteso, grazie alla presenza di un terzetto vocale che già nel 2007, al Rossini Opera Festival di Pesaro, aveva offerto un’entusiasmante esecuzione di una delle opere più amate nell’Ottocento, prima della progressiva eclissi subita da tutto il repertorio belcantistico e, nel suo caso, anche dall’avvento dell’Otello verdiano.
In realtà pare che la prima recita sia stata siglata da vistosi dissensi rivolti in particolar modo alla direzione d’orchestra e alla regia, ma dai quali sembra non sia rimasta esente anche una parte del cast. Nulla di nuovo, si potrebbe dire, visto che il loggione scaligero è storicamente famoso per quel modo di dire la sua al varo di spettacoli talvolta destinati invece alla leggenda o nei confronti delle star più acclamate, che, dalla Callas a Pavarotti, dalla Bartoli ad Alagna, hanno spesso dovuto fare i conti con le intemperanze di un pubblico pronto a sparare sulla minima défaillance, quando al tempo stesso perdonare a oltranza il beniamino ormai arrivato oltre il capolinea naturale della sua carriera.
Alla terza recita niente di questo è avvenuto e il successo, caloroso anche se non accesissimo, ha rivelato un clima disteso e accogliente, probabilmente dovuto a un pubblico internazionale arrivato alla Scala come riflesso dell’Expo e non tanto per esclusive finalità musicali, men che meno censorie. Detto questo, non è possibile negare però che più d’un motivo ai malumori della prima avesse un suo fondamento, tale da incidere sul buon esito di questa produzione, che ha prestato il fianco a qualche effettiva critica anche se non degna di provocare tanto clamore.
Chiamato a sostituire un direttore di prestigio quale John Eliot Gardiner, forse in virtù del fatto di aver già in repertorio l’opera di Rossini, il cinese Muhai Tang ha rivelato una direzione piuttosto alterna nei risultati, slentatissima nei tempi, tendenzialmente pesante e talvolta slabbrata persino nella resa strumentale dell’orchestra scaligera, solitamente impeccabile ma qui – a differenza del coro – al di sotto del suo standard. Questo ha inciso sulla restituzione dell’opera, di per sé bellissima ma che se non adeguatamente sostenuta – soprattutto nei numerosi recitativi – può sgonfiarsi e, come in questo caso, sfiorare spesso la noia. Soprattutto a farne le spese è stato il canto, che per i tempi troppo dilatati ha visto messe a dura prova le capacità polmonari dei cantanti, specialmente negli interminabili vocalizzi da eseguire tutti in un fiato o nei frequenti trapassi di registro, dal grave agli acuti, delle tessiture vocali.
Di conseguenza il terzetto che aveva entusiasmato al ROF otto anni fa ha colpito in misura diversa e non tanto per il tempo passato quanto per un sensibile disagio nel condurre a buon fine le rispettive parti. Mentre a Pesaro era una debuttante appena uscita dall’Accademia Rossiniana e quindi una Desdemona promettente ma ancora acerba, Olga Peretyatko è ora una cantante affermata ma che in questo caso non ha sempre potuto dare il meglio di sé. Innanzi tutto perché un ruolo Colbran come questo – scritto da Rossini per la moglie, originariamente mezzosoprano – è troppo centrale per la sua voce di soprano lirico-leggero, non favorendola nei momenti più drammatici e nelle agilità di forza, dove alcune disuguaglianze di registro e certa fatica sono emerse. D’altro lato però la sua Desdemona si è segnalata per eleganza, finezza virtuosistica e partecipazione espressiva, che, unite alla bellissima figura, hanno trovato modo di figurare nei momenti più lirici, “Canzone del salce” in primis.
Se a Pesaro si era riproposto non più come squisito tenore belcantista ma come sorprendente tenore “di forza”, Gregory Kunde ha in breve conosciuto una seconda giovinezza, spaziando su un repertorio di impressionante vastità e impegno. E anche se ora gli torna meglio l’Otello di Verdi rispetto a quello di Rossini – scritto per un baritenore come Andrea Nozzari – per via di una certa difficoltà nel gestire con omogeneità il registro medio-grave, l’esplosiva espansione degli acuti, l’autorità interpretativa, lo stile confermano il grande protagonista di sempre. Anche quando a duettare con lui, in un duello fatto a colpi di acuti, c’è il maggiore tenore rossiniano del momento, Juan Diego Florez, un Rodrigo al solito impeccabile nella linea, raffinatissimo nel porgere e vocalmente solo un po’ più cauto del solito ma ugualmente superbo. E già la sua presenza bastava a dare lustro a un cast per molti aspetti al meglio di quanto in circolazione, compresi il pregevole Jago di Edgardo Rocha, di voce leggera ma ben amministrata, l’ottimo Elmiro di Roberto Tagliavini, vocalmente autorevole, la validissima Emilia di Annalisa Stroppa, il Doge di Nicola Pamio e l’elegante Gondoliere di Sehoon Moon.
Insieme alla direzione, lo spettacolo ha costituito il vero lato debole di questa produzione, soprattutto per la tristezza dell’allestimento (tre enormi tendaggi disposti a mo’ di scatola scenica erano quanto restavano dell’idea originale di Anselm Kiefer), per il pot-pourri di costumi di epoche diverse di Ursula Kudrna, per le inefficaci luci di Sebastian Alphons ma soprattutto per la pochezza della regia di Jürgen Flimm, in cui era difficile trovare un’idea illuminante e ancor più una logica narrativa, tanto gli interpreti sembravano lasciati a se stessi e la storia a un’accozzaglia di trovate straviste o di misteriosa interpretazione. L’idea finale di far crollare a terra le tende lasciando a vista il palcoscenico ci riportava, ad esempio, indietro al Ronconi degli anni ‘80, come l’idea di schierare al proscenio tutto il coro, con tanto di marsina e cilindro, addirittura al Ponnelle di cinquant’anni fa e purtroppo a un’opera comica come Cenerentola.
Forse non ci sarebbe voluto molto per correggere il tiro ed evitare di fare di questo Otello un’occasione in parte mancata.
Visto il 10 luglio al Teatro alla Scala di Milano. Repliche 14, 17, 20, 24 luglio
Otello
Dramma per musica in tre atti
Libretto di Francesco Berio di Salsa
Musica di Gioachino Rossini
Otello Gregory Kunde
Rodrigo Juan Diego Florez
Desdemona Olga Peretyatko
Jago Edgardo Rocha
Elmiro Roberto Tagliavini
Emilia Annalisa Stroppa
Doge Nicola Pamio
Un Gondoliere Sehoon Moon
Direttore Muhai Tang
Regia Jürgen Flimm
Scene da un’idea di Anselm Kiefer
Costumi Ursula Kudrna
Luci Sebastian Alphons
Maestro del coro Bruno Casoni
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala di Milano