In cui si narra di pipì “scandalosa”, di una “non-scuola” più efficace e istruttiva della scuola, di un giovane poeta dalle 80 primavere e degli effetti devastati di una riforma
Tutta la solidarietà a Silvia Bottiroli, la direttrice artistica del festival di Santarcangelo, che nel pieno di questo pandemonio insensato, immotivato e anche un po’ indecoroso scatenato dalla performance dei danzatori Frank Willens (foto) e Boris Charmatz sulla coreografia di Tino Seghal cerca di rispondere argomentando, mettendo in campo un vasto apparato teorico, citando Marcel Duchamp, Nijinski, Pina Bausch. Non credo che chi fomenta polemiche e accuse la ascolterà. Ma se la ascoltasse sarebbe forse ancor peggio, perché a mio avviso è proprio questo retroterra culturale a dar fastidio. È il pensiero, è la capacità del teatro di provocare cortocircuiti intellettuali. Se ad apparire nudo e a fare pipì in pubblico fosse stato un qualunque rapper trasgressivo, durante un concerto o nello spot per il lancio commerciale di un suo disco, probabilmente nessuno avrebbe trovato nulla da ridire.
Grandi emozioni anche per la versione milanese di Eresia della felicità, il rito di declamazione dei versi di Majakovskij diretto da Marco Martinelli con duecento adolescenti provenienti da varie parti d’Italia, dal Belgio, dal Senegal. Questa espressione-clou della “non-scuola” è ormai qualcosa di più di un trascinante laboratorio-spettacolo, è un modello pedagogico che andrebbe studiato e diffuso, un esercizio di ferrea disciplina collettiva. Non fa crescere solo i partecipanti, ma anche le “guide” che affiancano il regista. Martinelli negli anni ne ha formate parecchie: oltre ai giovani attori del Teatro delle Albe, a Milano agivano esponenti di varie realtà, Gianni Vastarella di Punta Corsara, Nicolas Ceruti e Cristiano Sormani Valli degli Ilynx, Davide Sacco e Agata Tomsic di ErosAnteros, ciascuno dei quali porterà nel proprio gruppo l’esperienza acquisita. Quella che è una non-scuola per i ragazzi si trasforma in una preziosa scuola per i teatranti adulti.
Anche Volterra Teatro, dopo il Mittelfest di Cividale del Friuli, ha festeggiato gli ottant’anni recentemente compiuti da Giuliano Scabia, che in un angolo della Fortezza Medicea, su un palco montato sotto gli alberi, ha letto con la freschezza e l’entusiasmo di un ventenne alcune pagine di un suo testo, Commedia di matti assassini, moltiplicandosi nei vari personaggi. A un’età che ad altri avrebbe imposto l’approdo alla saggezza lui, che è poeta vero, per vocazione e per istinto, ha ancora voglia di travestirsi da guitto e di mettersi a giocare con le parole, con le immagini, con gli oggetti di scena, coi materiali poveri, gli stracci, le cartapeste, che gli sono sempre piaciuti. È anche – o soprattutto – questa capacità di calarsi nell’umiltà artigianale del teatro che ne ha fatto un maestro e un punto di riferimento. Auguri di cuore, Giuliano.
La notizia più preoccupante dell’estate viene dal Premio Scenario che, a causa di un contorto cavillo regolamentare, resta escluso dai contributi previsti dal decreto di riforma del teatro, e rischia quindi di chiudere la propria attività. È un’ulteriore riprova degli effetti devastanti del provvedimento: se c’è un’iniziativa che, da quasi trent’anni, ha davvero cambiato faccia al teatro italiano, è il Premio Scenario. Da lì è partita quella corrente di attenzione alle giovani compagnie che ha favorito un tumultuoso ricambio generazionale, da lì sono passati i talenti più innovativi della scena contemporanea, da Saverio La Ruina e Dario De Luca a Emma Dante, dal Teatro Sotterraneo ai Babilonia Teatri agli Anagoor. Se cessasse di esistere sarebbe una grave perdita. Ma forse è proprio questa vena innovativa che la riforma mirerebbe a cancellare.