Si chiama ‘Amore’ in italiano, il nuovo progetto ideato per Svetlana Zakharova, la superstar del balletto mondiale, in tour dopo la prima al Comunale di Modena. Un modo per provare nuovi modi di esprimersi attraverso la danza, magari scoprendo che ci si può anche divertire.- Silvia Poletti
Svetlana Zakharova è una conclamata diva del balletto mondiale. Altera, di bellezza inarrivabile, con un fisico trasparente ( fin troppo) che si trasforma in arabesco di muscoli nell’ aere. Per come danza -con le sue celebri iperestensioni post Guillem; le braccia flessuose come giunchi che si trasformano in ali e saette, una tecnica perfetta e virtuosistica- è tra i più ricorrenti esempi dell’estetica della danza attuale. Prendendo a prestito uno slogan:la bella che balla. Ma c’è un ma. La sua danza non vibra, non vive, non palpita. E’ esteriore, esangue a tratti, quando non soggetta a manierismi che rivelano un totale distacco da ciò che si dovrebbe invece sentire. Ma se una certa astrazione ( intesa proprio etimologicamente, come allontanamento dalla realtà) può funzionare per certi balletti iconici diventati suoi cavali di battaglia ( La Bayadére e Il lago dei Cigni), rischia di appiattire -o peggio annoiare- in altre situazioni. Né c’entra l’anima russa. Chi conosce l’attuale fioritura di mirabili ballerine in scena tra Bolshoi e Marijinsky sa bene che la ‘dusha‘ vibra in altro modo. Nella grazia celestiale di Evgenia Obravstova, o nell’infuocato temperamento di Maria Alexandrova; nella luminosa bellezza lirica di Olga Smirnova, nell’incandescenza di Natalia Osipova, giusto per citare le più note.
Da parte sua Zakharova sembra avvertire il disagio di pastoie che un repertorio rigido ( anche se sempre più rivolto a occidente) le impone e allora, come ormai tutti fanno, ha iniziato a immaginare alcuni progetti artistici nei quali può esplorare altre modalità di lavoro e di interpretazione, altri stili e magari altre chiavi per aprire il suo insondabile animo d’artista. E’ così nato Amore ( in prima assoluta al Teatro Comunale Pavarotti di Modena) – un trittico di coreografie affidate a autori di diversa estrazione, cultura e visione per mostrare auspicabilmente altri aspetti della sua personalità. Sfortunatamente l’effetto sperato non si è raggiunto. Anzi,complici forse due delle tre coreografie programmate – Francesca da Rimini del lanciatissimo coreografo russo d’America Yuri Possokhov e Rain before it falls dell’ex stella bejartiana Patrick de Bana – si è acutizzata proprio la sensazione di cui sopra.
Non palpita né di passione erotica né di amore disperato la Francesca che Zakharova dipinge, alzando le braccia come il cigno Odette e le lunghe gambe in prese stilizzate di gusto post-sovietico nel duettare amoroso con l’affascinante Denis Rodkin. Inquieta il suo volto immobile, quasi impietrito, in cui non trapela la dinamica di una sensazione, il fremito di passione e orrore che caratterizza la storia. L’enfasi ciaikovskiana, amplificata dai personaggi di contorno – diavoli dell’inferno e cortigiane ( ma perchè? Forse intendevano donne della corte? Mah!)- e da un neoclassicismo retorico, fatto di pose estetizzanti – non aiuta del resto ad entrare empaticamente in contatto con i protagonisti della vicenda dantesca: tutto sa di stantio, di un gusto ormai délabré.
Rains before it falls, in cui una Zakharova in viola balla tra la braccia mature di De Bana, si propone la volontà di descrivere l’immensa solitudine di donne belle e talentuose, che convivono con questa condizione esistenziale al punto da idealizzarla come se fosse un amante adorato.Lo slancio e le tensioni della coreografia, naturalmente raggelate anche per necessità drammatiche, si attagliano bene alla stella ucraina: le sue esili spalle si chiudono angosciate e poi si allargano nella disperazione e nella speranza, presto soffocata. Il pathos della coreografia, comunque calibrata e essenziale nel descrivere atmosfere dolenti e liriche, tra i due e una terza figura- un giovane amore idealizzato interpretato da Denis Savin – si addice al volto scarno, serio e glaciale di Zakharova, ma anche qui a dare calore alla scena è la presenza teatrale intensa del partner-coreografo.
E se invece nessuno veramente avesse ancora scardinato il chiuso cuore di Svetlana? E se nessun coreografo fosse riuscito davvero a restituirle il senso di libertà e di divertimento scapricciato che fa riaffiorare la fanciullina che è in lei? Il sospetto ci viene osservando il lieve brano della coreografa irlandese Marguerite Donlon, sulla Sinfonia 40 di Mozart, Strokes through the Tail, che allude proprio all’invito fatto dal sommo Amedeo ai futuri esecutori della sua musica di eseguirla secondo il loro estro, grazie a quelle famose codine sovrapposte sulle note. E se anche Svetlana avesse bisogno di liberarsi dai cliché con cui ha costruito la sua fama e la sua carriera? E se avesse bisogno davvero di giocare, dialogare in movimenti con i suoi compagni di scena, prendersi un po’ in giro e assaporare ‘in purezza’ quello che la danza le dice? Di essere cioè meno diva e più danzatrice? Il sorriso che le attraversa il volto, in questo giocondo turbinare di equivoci danzati tra la diva e cinque ballerini tra frac e tutù, riscalda anche la sua presenza scenica. E soprattutto rinfranca.
Del resto tra danzatori, uno degli auguri più frequenti dietro le quinte è emblematicamente ‘divertiti in scena!’. Lo auguriamo anche a Svetlana, ora che quel sorriso spontaneo si sta facendo sempre più strada nel suo volto di porcellana.
Visto al Teatro Comunale Luciano Pavarotti di Modena il 12 maggio 2016. Prossime date: 23/24 maggio Bolshoi Theatre, Mosca; 30 giugno Ravenna Festival, 7-8 novembre Teatro San Carlo, Napoli
foto di copertina Pierluigi Abbondanza, courtesy Teatro Comunale Pavarotti, Modena