Bene per Helsinki, bene per Santarcangelo?

La nomina della bielorussa Eva Neklyaeva alla direzione del festival Internazionale del Teatro in Piazza non deve lasciare perplessi. Semmai il rischio è quello di un’eccessiva globalizzazione delle proposte, di un’omologazione estetica. Per saperlo occorrerà attendere la prossima edizioneRenato Palazzi


La nomina della nuova direttrice artistica del Festival del Teatro in Piazza di Santarcangelo, la bielorussa trapiantata in Finlandia Eva Neklyaeva, figlia di un poeta e uomo politico perseguitato e incarcerato per la sua opposizione al regime di Lukashenko, è stata accolta con un certo stupore, soprattutto negli ambienti teatrali romagnoli.

Alla scelta della Neklyaeva, che subentra dopo cinque anni a Silvia Bottiroli, il CDA di Santarcangelo dei Teatri è arrivato in seguito a un bando internazionale che ha visto in lizza 75 progetti, di cui 59 italiani e 16 stranieri. La sua designazione è avvenuta con l’apporto del direttore generale Roberto Naccari e di due consulenti “tecnici”, Fabio Biondi de L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino ed Enrico Casagrande dei Motus.

La nomina della nuova responsabile dell’ormai storica rassegna del teatro di ricerca – che tra quattro anni doppierà la boa del mezzo secolo di attività – sorprende per la sua provenienza geografica, lontanissima dalle beghe e dalle tensioni del teatro italiano di oggi, non certo per il profilo della Neklyaeva, che ha tutti i titoli per garantire la continuità dell’esperienza avviata dalla Bottiroli. Per sapere quale indirizzo vorrà dare al suo festival si può solo attendere di vedere il programma della prossima edizione. Ma dalla sua la direttrice venuta dal freddo ha sicuramente due elementi, l’età giusta, 36 anni, e un curriculum di tutto rispetto, ovviamente aperto alle suggestioni di varie culture.

La sua scarsa conoscenza diretta delle realtà della nostra scena è un limite che potrà essere a mio avviso ovviato con l’impegno, la curiosità e un’indispensabile full-immersion. Lascia un po’ più dubbiosi la sua formazione intellettuale, che riguarda il teatro solo marginalmente, e attinge soprattutto al mondo delle arti visive: si può ipotizzare che avremo un festival ancora più orientato alle performance e alle creazioni atipiche a cavallo tra le diverse discipline. E mi chiedo se questa ricerca di personalità che si sono affermate in contesti così distanti dal nostro non comporti, alla fine, il rischio di un eccesso di globalizzazione, di un’omologazione estetica per cui ciò che va bene per Helsinki deve anche andare bene per Santarcangelo.

Non lo dico, ovviamente, per spirito autarchico. Ma temo che a volte il troppo scrupolo cosmopolita possa anche finire col trasformarsi in una forma di provincialismo alla rovescia.

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