Il cambio al vertice del Rossini Opera Festival, giunto alla 37.esima edizione, ha confermato la tendenza alla crescita di una manifestazione seguitissima anche da un pubblico internazionale – Davide Annachini
Trentasette candeline per il Rossini Opera Festival sono un bel traguardo, soprattutto se si considera che negli anni ha sempre tenuto fede alla sua qualità e che oggi, in tempi difficili per quasi tutte le istituzioni musicali, si posiziona sempre tra le realtà più interessanti anche a livello internazionale. Anzi, l’aver coltivato nel tempo un pubblico prevalentemente straniero, ha dato modo al R.O.F. di raccogliere ora i frutti, tant’è che questa edizione ha ottenuto una risposta di presenze come non mai. Il cambio al vertice del direttore artistico – che ha visto Alberto Zedda lasciare il ruolo a Ernesto Palacio, ex-tenore di grande esperienza e competenza – si è segnalato per un cartellone particolarmente ricco di proposte interessanti, al di là delle personali opinioni sui risultati.
Fiore all’occhiello di questa edizione era senz’altro il ritorno di Juan Diego Florez a Pesaro, città di adozione per il massimo tenore rossiniano, che qui fece il suo debutto giusto vent’anni fa. Per lui è stato scelto come titolo inaugurale La donna del lago (foto), opera di bellissimo respiro preromantico in cui la parte del re Giacomo ha offerto a Florez di figurare ancora una volta magnificamente, per la purezza del canto, il dominio delle tessiture acutissime, l’eleganza virtuosistica ed espressiva. Una prova da inossidabile fuoriclasse, che non giocava comunque da solo, visto che l’opera prevede altri tre ruoli di pari responsabilità, a cominciare da quello di Rodrigo, in questo caso affidato un altro famoso tenore, Michael Spyres, in grado di contendere a forza di acuti l’amore per la bella Elena. Per la verità nell’impervia tessitura di baritenore Spyres ha spinto un po’ troppo il pedale sul registro medio-grave, ottenendo un impatto di grande effetto ma sacrificando inevitabilmente proprio lo squillo di quello acuto, solitamente sorprendente ma che qui figurava meno spavaldo rispetto a quello dell’antagonista Florez. Nella Donna del lago la protagonista, oggetto delle attenzioni da parte dei due tenori, in realtà ama Malcom, contralto en travesti e quindi donna, com’era nelle convenzioni dell’epoca. Due parti anch’esse di estrema responsabilità, affidate a due giovani emergenti – il soprano Salome Jicia e il mezzo Varduhi Abrahamyan – che hanno dimostrato comunque di essere all’altezza della situazione, la prima in virtù di un timbro interessante e di un virtuosismo ragguardevole, la seconda – se non proprio per l’esatta estensione di contralto – per intensità di interprete. Se il cast ha funzionato alla grande merito è stato in buona parte della direzione di Michele Mariotti, anch’egli figlio (nel suo caso naturale) di Pesaro e bacchetta ormai accreditata presso i massimi teatri internazionali. La sua è stata una lettura di grande slancio e autorevolezza, molto giocata sulla smagliante ricchezza coloristica degli accompagnamenti e sui contrasti drammaturgici della partitura, ottimamente assecondata dall’Orchestra e dal Coro del Teatro Comunale di Bologna.
Damiano Michieletto era un’altra presenza di spicco di questa produzione, che difatti nella realizzazione scenica trovava una delle sue componenti predominanti. Quella del regista veneziano è stata prevedibilmente una rilettura dell’opera, nata dall’idea di far rivivere la vicenda come un flashback nostalgico da parte della coppia “anziana” Elena-Malcom, che, esaurita la passione e delusa dalla routine coniugale, pensa al proprio amore un tempo contrastato come una storia in realtà da contrastare, nel disperato tentativo di modificare il percorso del destino. Soprattutto in Elena è cocente il rammarico di non aver ceduto alle proposte del re, idealizzato come l’amore mancato, e di conseguenza la sua controfigura da vecchia si avvinghia ai protagonisti della giovinezza e incombe sulle sue scelte di fanciulla, diventandone la proiezione assillante. In questa chiave pessimistica le “mura felici” si trasformano in una casa in rovina, popolata di fantasmi e sterpaglie, il romantico lago di Walter Scott in uno stagno e le boscaglie scozzesi in un paludoso canneto. Interpretazione non priva di suggestione, ben risolta sotto il profilo visivo (scene di Paolo Fantin, costumi di Klaus Bruns), ma che lasciava molti dubbi sulla capacità di giustificarsi con la musica di Rossini per non sembrare mero capriccio registico fine a se stesso, non sempre comprensibile e ancor meno plausibile.
Anche per Il Turco in Italia lo spettacolo di Davide Livermore poteva apparire più frutto di una trovata registica che di un’effettiva interpretazione dell’opera rossiniana, uno dei suoi tanti capolavori comici. L’idea di ispirarsi al Fellini di 8½ nell’attribuire al ruolo del poeta – che prende spunto per il suo dramma dalle surreali vicende dei protagonisti – l’immagine di un Mastroianni sceneggiatore-regista di un film poteva anche sembrare godibile se non avesse dovuto alla lunga scontrarsi con tutt’altra storia e diventare di conseguenza una scelta arbitraria. E la carrellata dei grotteschi personaggi felliniani risultava più che altro un esercizio di bravura del vulcanico costumista Gianluca Falaschi ma che poco incideva sulla comprensione dell’impagabile libretto di Felice Romani, se non per turbarne la superba scorrevolezza e modernità.
Detto questo lo spettacolo presentava comunque una sua freschezza, un’indubbia carica teatrale e soprattutto una perfetta risposta attoriale da parte dei cantanti, tutti bravissimi. In primis si potrebbero segnalare il Geronio, marito ingenuo e gabbato, risolto con misura e comunicativa da Nicola Alaimo, la capricciosa e affascinante Fiorilla di Olga Peretyatko, di notevole eleganza vocale anche se poco incisiva nei recitativi, il Selim spaccone – a imitazione di Alberto Sordi nello Sceicco bianco – di Erwin Schrott, basso di estrazione non propriamente rossiniana ma dalla vocalità e dall’istrionismo di innegabile impatto. E perfettamente centrati sono risultati anche gli altri, dal Narciso di René Barbera al Prosdocimo di Pietro Spagnoli, dalla Zaida di Cecilia Molinari all’Albazar di Pietro Adaini.
Molto apprezzabile anche la direzione di Speranza Scappucci, alla guida della non sempre impeccabile Filarmonica Gioachino Rossini e del Coro del Teatro della Fortuna M.Agostini.
A Livermore e al suo staff di collaboratori spettava anche la messinscena del Ciro in Babilonia, una fortunatissima produzione di quattro anni fa. Qui la scelta registica si è invece rivelata fondamentale per reggere le sorti di un’opera discontinua (esordio nel genere serio di un Rossini appena ventenne), risolta anch’essa in chiave cinematografica ma come trasposizione dell’epico dramma teatrale nel celeberrimo colossal Cabiria, rievocato negli strepitosi costumi anni Venti, nelle incombenti scenografie virtuali di gusto assiro-babilonese, nell’enfatica mimica tipica del muto. Un’operazione di perfetta ricostruzione stilistica ma soprattutto di acuta ironia e rispetto dei valori musicali.
D’altro lato l’esecuzione poggiava su una protagonista en travesti di grande autorità: ormai a carriera avanzata, Ewa Podles è stata ancora una volta l’incarnazione dell’autentico contralto rossiniano, per la voce poderosa e profondissima, ma soprattutto per la superba statura d’interprete. Il suo Ciro nobile e dolente ha trovato ottima risposta nell’Amira di Pretty Yende, soprano dai centri compatti e dagli acuti cristallini, di grazia ed eleganza ragguardevoli, come nello scolpitissimo Baldassare di Antonino Siragusa, tenore di generoso slancio vocale. Pregevole anche la direzione di Jader Bignamini, che a capo degli organici bolognesi, ha condiviso il caloroso successo dello spettacolo, applauditissimo come i due precedenti di questa fortunata edizione del festival pesarese.
Davide Annachini
Visto a Pesaro, Rossini Opera Festival, 8, 9, 10 agosto
LA DONNA DEL LAGO
Melodramma in due atti
Libretto di Andrea Leone Tottola
Musica di Gioachino Rossini
Giacomo V/Uberto Juan Diego Florez
Rodrigo Michael Spyres
Elena Salome Jicia
Malcom Varduhi Abrahamyan
Duglas Marko Mimica
Direttore Michele Mariotti
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Klaus Bruns
Luci Alessandro Carletti
Maestro del coro Andrea Faidutti
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
IL TURCO IN ITALIA
Dramma buffo in due atti
Libretto di Felice Romani
Musica di Gioachino Rossini
Selim Herwin Schrott
Fiorillo Olga Peretyatko
Geronio Nicola Alaimo
Narciso René Barbera
Zaida Cecilia Molinari
Prosdocimo Pietro Spagnoli
Albazar Pietro Adaini
Direttore Speranza Scappucci
Regia e scene Davide Livermore
Costumi Gianluca Falaschi
Videodesign D-Wok
Progetto luci Nicolas Bovey
Maestro del coro Mirca Rosciani
Filarmonica Gioachino Rossini e Coro del Teatro della Fortuna M.Agostini
CIRO IN BABILONIA
Dramma in due atti
Libretto di Francesco Aventi
Musica di Gioachino Rossini
Ciro Ewa Podles
Amira Pretty Yende
Baldassare Agostino Siracusa
Argene Isabella Gaudì
Direttore Jader Bignamini
Regia Davide Livermore
Scene e Progetto luci Nicolas Bovey
Costumi Gianluca Falaschi
Videodesign D-Wok
Maestro del coro Andrea Faidutti
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna