Massimo Popolizio, con la drammaturgia di Emanuele Trevi, dirige il nuovo allestimento tratto dal primo romanzo di Pier Paolo Pasolini. Uno spettacolo ironico, sfrontato, crudele, struggente, amoroso, con una banda di giovani interpreti alla ribalta – Maria Grazia Gregori
Ancora una volta Pasolini. Ma questa volta non ci si chiede di confrontarci con il suo teatro severo e dialettico e neppure con la sua poesia, ma con il suo primo, struggente romanzo Ragazzi di vita pubblicato nel 1955 che gli diede la fama ma anche contribuì a innestare nei suoi confronti un clima di caccia alle streghe che lo perseguitò per tutta la vita.
Giunto a una svolta importante del progetto costruito dal Teatro di Roma attorno a quello che Alberto Moravia nell’orazione funebre definì amorosamente “di poeti così ne nascono uno ogni cento anni”, una rete affascinante di parole e di riflessioni di sguardi e di emozioni, questo spettacolo ci consegna l’immagine, lo sguardo, ma forse dovrei dire il “corpo” di Pier Paolo Pasolini. Lo fa con un affresco popolare, una lussureggiante proliferazione di tipi, di personaggi, di corpi e con il vero e proprio innamoramento che PPP sentiva per le classi sociali subalterne dove gli pareva che più vera e più forte e anche più sincera pulsasse la vita con la sua crudeltà, le sue passioni.
Non so se sia giusto sostenere che in questo romanzo per la prima volta si affacciano alle porte della letteratura novecentesca, con una verità disarmante, quel formicolare indiscriminato di individui tenuti o vissuti lontano dal romanzo. Quello che ci colpisce ancora oggi, però, in questo testo, è lo sguardo di Pasolini consapevolmente avido, innamorato che si rispecchiava nell’invenzione di un linguaggio in grado di restituirci la lingua parlata da quei ragazzi di borgata quando ancora i prati non avevano lasciato il posto ai casermoni di periferia, senza però mai pedissequamente riprodurla. Affresco popolare dunque: immagine di una città, ma anche racconto di una specie di educazione sentimentale per i suoi protagonisti a partire dal Riccetto che è un po’ il filo conduttore del romanzo raccontato dallo scrittore che vorrebbe, forse, essere dentro quel mondo ma che ne resta al di fuori, però raccontandolo.
Non è facile mettere in scena un romanzo polimorfico e polifonico come questo dove anche i personaggi minori sono raccontati, creati dall’autore, senza mai scadere in un eccessivo realismo nella loro oggettività. Massimo Popolizio, in questa sua regia, c’è riuscito infondendo al suo racconto (di cui Emanuele Trevi ha curato la drammaturgia), con le sue inclusioni ma anche con le sue esclusioni, una verità mai banale, una leggerezza non corriva, una fame di vivere pronta a tutto. A questo incontro il regista non è arrivato per caso, ma preparato ad affrontare i testi non scritti per la scena da una lunga storia di “attore principe” accanto a Luca Ronconi e dunque ben conoscendo lo scarto emotivo, interpretativo che richiede all’attore un cambiamento di rotta necessario per passare dalla parola scritta, letta, a una parola parlata, necessaria.
Ci dicono che Popolizio cullasse da tempo questo progetto con un coinvolgimento personale molto più forte, riservando per sé il ruolo del narratore che accompagna e scandisce il passare delle scene, ma la ripresa di Lehman Trilogy, ultimo spettacolo di Luca Ronconi, di cui è un superbo protagonista, l’ha costretto a una scelta che immaginiamo dolorosa: affidare a un altro interprete quello che aveva scelto per sé. Così il giovane uomo con la giacca sulle spalle che si muove fra scene e personaggi, quasi imprigionato dentro un’ipotetica lanterna magica, che fa da guida e da trait-d’union fra le scene e i personaggi scelti per rendere se non interamente in modo però immediatamente riconoscibile il racconto di Pasolini è interpretato da Lino Guanciale che lo ha rappresentato con pregevole asciuttezza .Un borghese tra ragazzi di vita, allo stesso tempo incalliti ed ingenui mascalzoni immersi nella loro vita grama, colti nei loro “riti” di crescita che scandiscono tutto lo spettacolo. Ecco allora il bagno in candide mutandine di cotone, la sfida sulle misure del proprio sesso, le prove di forza e di resistenza, il borseggio di un’ignara signora in tram preparato fin nei minimi particolari, come un’azione di guerra, il sogno di possedere un maglione azzurro visto in vetrina che cattura il venditore di lupini di un cinema, la sessualità brutale e selvaggia… Un modo di vivere animalesco dove perfino gli animali rispecchiano nei loro comportamenti la violenza dei loro padroni e, al contrario, lo sprezzo del pericolo: per esempio, da parte del Riccetto, per salvare una rondine che sta annegando nel fiume, teatro delle loro gesta, ma non il ragazzo che viene travolto dai gorghi, vittima di una prova di destrezza, a dimostrazione di come siano incapaci – antropologicamente si direbbe – di distinguere il bene dal male.
In questo coro-mondo hanno modo di distinguersi il Riccetto di Lorenzo Grilli, l’Agnolo di Josafat Vagni, il Begalone di Flavio Francucci, Silvia Pernarella, Alberto Onofrietti, Francesco Santagada e insieme a loro, tutti impegnati in più di un ruolo, Sonia Barbadoro, Giampiero Cicciò, Roberto Crivelli, Francesco Giordano, Michele Lisi, Pietro Masotti, Paolo Minnielli, Lorenzo Parrotto, Cristina Pelliccia, Elena Polic Greco, Stefano Scialanga, Andrea Volpetti. È bello vederli alla fine tutti schierati in fila a ricevere i meritati applausi degli spettatori.
A Popolizio regista bastano, per mettere in scena Ragazzi di vita, pochi praticabili, uno scivolo, alcune panche (le scene sono di Marco Rossi, i costumi di Gianluca Sbicca) ma soprattutto un gran lavoro sugli attori chiamati a un compito non facile con le loro personalità ben delineate, che si muovono e agiscono sull’onda di una colonna sonora anni Cinquanta dominata da Serenata celeste e dalla voce del “reuccio”della canzone italiana di quegli anni Claudio Villa (ma c’è anche un giovanissimo Adriano Celentano). Uno spettacolo ironico, sfrontato, crudele, struggente, amoroso.
Visto al Teatro Argentina di Roma. Repliche fino al 20 novembre 2016
Ragazzi di vita
di Pier Paolo Pasolini
drammaturgia Emanuele Trevi
regia Massimo Popolizio
con Lino Guanciale
e Sonia Barbadoro, Giampiero Cicciò, Roberta Crivelli, Flavio Francucci, Francesco Giordano, Lorenzo Grilli, Michele Lisi
Pietro Masotti, Paolo Minnielli, Alberto Onofrietti, Lorenzo Parrotto, Cristina Pelliccia, Silvia Pernarella, Elena Polic Greco
Francesco Santagada, Stefano Scialanga, Josafat Vagni, Andrea Volpetti
scene Marco Rossi
costumi Gianluca Sbicca
luci Luigi Biondi
canto Francesca Della Monica
video Luca Brinchi e Daniele Spanò
assistente alla regia Giacomo Bisordi