Condotto con mano sicura da Elio De Capitani e Ferdinando Bruni e recitato come meglio non si potrebbe da Daniele Fedeli, la pièce tratta dal romanzo di Mark Haddon diverte ma soprattutto fa riflettere giovani e adulti sul tema della diversità. In questo caso di un ragazzo che si trova a proprio agio solo tra i numeri – Maria Grazia Gregori
È uno spettacolo davvero curioso questo Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, in scena con successo al Teatro dell’Elfo di Milano. Curioso perché la storia che ruota attorno alla morte misteriosa del cane Wellington è tante cose insieme: una fiaba amara sull’incomunicabilità fra adulti e giovani, sull’incapacità di dire ai ragazzi la verità non tanto su di loro ma su noi stessi, i grandi, sulla solitudine e sull’emarginazione – magari neppure voluta da chi la opera – degli abitanti di una piccola città nei confronti di un ragazzino che vive in un mondo tutto suo, che soffre di una forma di autismo, che ha difficili rapporti con gli altri, che ha paura di essere toccato, che odia colori come il giallo e il marrone. Eppure questo ragazzo che sembra paurosamente imbranato ama la matematica, ne sa risolvere dei difficili problemi, con chiare, impervie dimostrazioni, lasciandoci non so dirvi se più ammirati o perplessi. Christopher – questo è il nome del protagonista del pluripremiato libro di Mark Haddon qui diventato testo teatrale grazie a Simon Stephens – all’apparenza è un ragazzo come tanti altri, molto sensibile forse perché non ha la mamma, che adora Sherlock Holmes e che vorrebbe, imitando il suo mito, fare indagini a tappeto nel villaggio dove vive, per scoprire chi ha ucciso il cane Wellington, letteralmente “inforcato” misteriosamente non si sa se per vendetta nei confronti della proprietaria, vista la tranquillità della povera bestia.
Ma l’inquieta ricerca del colpevole da parte di Christopher mette in luce alcuni segreti, cose non dette, odi reciproci, tradimenti e abbandoni. Il villaggio – si direbbe – non è solidale ma piuttosto è omertoso: c’è un’atmosfera ovattata che cinge il ragazzo, il quale non sa dialogare con suo padre che un bel giorno gli ha detto che la madre era morta all’improvviso. Non è così: la madre se ne è andata con un altro uomo e il padre non ha il coraggio di dirlo al figlio, che lo scoprirà nel modo più triste, ritrovando sotto il letto paterno lettere che la donna ha scritto al figlio per dirgli quanto gli voglia sempre bene. Basta questo a Christopher, malgrado la sua paura di tutto, per intraprendere un viaggio in treno verso Londra e poi in metropolitana per raggiungere il quartiere dove la madre abita con l’altro uomo: lui vuole vivere con lei, per sempre. Certo le cose si ricomporranno alla maniera degli adulti: il figlio starà un po’ con l’uno e un po’ con l’altro genitore e affronterà il difficile esame di matematica e geometria meritando il massimo dei voti – una A –, che gli permetterà di continuare i suoi studi.
Più racconto che fiaba, amarissimo e crudele, con rari sprazzi di timida felicità, il caso del buon Wellington – si scoprirà che è stato il padre del ragazzo ad ucciderlo, per vendicarsi della sua proprietaria, moglie dell’amante della madre di Cristopher –, ambientato nelle scene di Andrea Taddei che richiedono spesso ai personaggi di costruirsi il loro spazio, che seguiamo come se sfogliassimo un libro dalle belle illustrazioni di Ferdinando Bruni. È la storia di un viaggio che ci diverte, certo, ma che ci fa pensare; dove il protagonista è un ragazzo infelice che insegue la vita. Un ragazzo pieno di tenerezze, di curiosità, di inconfessabili solitudini che trova nel giovane Daniele Fedeli, bravissimo, un interprete di eccezione, una specie di Pinocchio del duemila in un mondo di adulti che fa paura e che, soprattutto, sotto mentite spoglie, è disperatamente vero. Uno spettacolo per tutti dove i ragazzi ( e gli adulti) potranno trovarsi di fronte al grande, difficile tema della diversità, di un ragazzo che non è come loro, ma che come loro vorrebbe vivere in un mondo di avventure. Uno spettacolo, condotto con mano sicura da Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani, ben recitato, che fa del bene, mai serioso ma che non si nasconde dietro un dito, dicendoci la verità.
Visto all’Elfo Puccini di Milano. Repliche fino al 13 gennaio 2019. Foto Laila Pozzo
Lo stano caso del cane ucciso a mezzanotte
di Simon Stephens dal romanzo di Mark Haddon
traduzione di Emanuele Aldrovandi
regia Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani
scene di Andrea Taddei
costumi e disegni di Ferdinando Bruni
maschere Saverio Assumma
musiche originali Teho Teardo
movimenti scenici Riccardo Olivier e Chiara Ameglio di Fattoria Vittadini
video di Francesco Frongia
luci Nando Frigerio
suono Giuseppe Marzoli
con Corinna Agustoni, Cristina Crippa, Elena Russo Arman, Alice Redini, Debora Zuin, Nicola Stravalaci, Daniele Fedeli, Davide Lorino, Marco Bonadei, Alessandro Mor
assistente alla regia Alessandro Frigerio
assistente scene costumi Roberta Monopoli
assistenti tirocinanti Accademia di Brera scene-costumi Luna Aulehla, Silvia Pagano, Leonardo Locchi
coproduzione Teatro dell’Elfo e Teatro Stabile di Torino
prima nazionale – questo spettacolo è presentato per gentile concessione della Warners Bros. Entertainment