Il ragazzo dell'ultimo banco

Il ragazzo dell’ultimo banco

Jacopo Gassmann conferma con una regia ficcante, di grande forza, la sua propensione del la drammaturgia contemporanea, mettendo in scena il testo di Juan MayorgaMaria Grazia Gregori


Fra i figli del grande Vittorio, Jacopo Gassmann è quello che con più decisione ha scelto di non stare in palcoscenico, ma in platea, di non stare davanti ma dietro alla macchina da presa a riprendere gli attori. Fin da ragazzo ha studiato in giro per il mondo e si è formato proprio per essere regista e insieme sia per curiosità che per cultura ha scelto di muoversi dentro la contemporaneità occupandosi di drammaturgia contemporanea, quasi sempre traducendo i testi che lo intrigano, soprattutto dall’inglese, nei quali in qualche modo si riconosce.

In questi giorni, per esempio, è in scena al Piccolo Teatro Studio uno spettacolo che nasce proprio qui, Il ragazzo dell’ultimo banco, scritto dallo spagnolo Juan Mayorga, uno dei suoi autori più amati e uno dei più interessanti della scena spagnola contemporanea. Jacopo Gassmann non ama il teatro “comodo”: il suo, infatti, è un teatro di conflitto o di conflitti, un teatro inquieto, provocatorio, che vuole liberamente osservare la vita dei personaggi, che analizza non lasciando nulla al caso, in profondità, senza dare l’impressione di volere dimostrare qualcosa, ma, al contrario, con la volontà esplicita di catturarli nel loro essere per mostrarne al pubblico le inquietudini segrete, i comportamenti borderline, le menzogne, i sentimenti che, talvolta, non si possono dire.

Cominciamo col dire quello che Il ragazzo dell’ultimo banco (almeno per me) non è. Non è un testo sulla scuola ( o non lo è solamente) anche se proprio da lì parte e perché, come ci dice il titolo, c’è un disagio sottolineato dall’aggettivo “ultimo”: all’ultimo banco, infatti, ci stanno i ragazzi più disattenti, più ribelli, con qualche problema sociale e familiare alle spalle. E alla scuola si riferisce anche il rapporto che intrecciano German, l’insegnante di letteratura, e Claudio, il ragazzo che sa tutto di matematica ma per il resto sembra fregarsene.

Le cose che contano davvero in questo testo sono il rapporto fra l’insegnante e il ragazzo dell’ultimo banco, fra un adulto e un giovane. Fra i due è nata come un sfida, che fa credere al professore di potere fare qualcosa per questo ragazzo apparentemente apatico che un giorno gli consegna un tema su come ha passato il fine settimana che l’insegnante vive come qualcosa destinato a ripetersi perché, provocatoriamente, Claudio gli consegnerà quasi ogni giorno un nuovo scritto che chiude con l’inquietante scritta “continua”. In realtà il gioco è un altro e ben più crudele: rendere il professore, che vorrebbe farsi suo pigmalione suggerendogli buoni testi da leggere, testimone dei suoi pensieri, delle sue provocazioni, del suo modo di vivere e di comportarsi con gli altri. Ma oltre a questo rapporto in cui il ragazzo diventa sempre più forte, c’è un altro tema che sta al fondo di tutto: l’estrazione sociale dei personaggi. Claudio è amico di Rafa, un ragazzo benestante che non capisce nulla di matematica e che lo sceglie per farsi spiegare i segreti delle radici quadrate con il meno. È nella sua casa borghese che Claudio si trova in un ambiente dove il padre pensa solo a fare gli affari e allo sport, il figlio Rafa allo sport e un po’ alla filosofia, la madre legge riviste di arredamento perennemente annoiata: una facile preda per Claudio, che la stordisce di parole. Ovviamente i sogni di evasione di lei, di scalata sociale del marito e di riuscita nella matematica del figlio finiscono in nulla e nel momento di crisi i tre si chiudono a riccio per espellere il diverso, quello di cui hanno creduto di potersi servire. E Claudio alla fine dichiara al maestro di non volere più tornare a scuola. Ma ha fatto questa scelta dopo avere invano tentato di intrufolarsi nella vita di German e di sua moglie, che gestisce con scarso successo una galleria d’arte contemporanea, del tutto refrattaria alle sue parole.

È un mondo di sconfitti quello che resta nel gioco crudele che si svolge in uno spazio che è un grande rettangolo inscritto nell’ellissi del Teatro Studio, dove i personaggi si muovono liberamente, al fondo chiuso da velari che limitano l’interno della casa dei “Rafa”. In apparenza sembrano poter fare quello che vogliono, in realtà sono dei prigionieri di loro stessi.

Con una regia ficcante, di grande forza drammaturgica, Jacopo Gassmann firma uno spettacolo intelligente, estremamente contemporaneo per la violenza sottilmente inespressa che circola fra i personaggi, per l’attenzione profonda alle psicologie di un sestetto non facile per il quale Mayorga in un suo scritto cita “Teorema” di Pasolini. Anche se qui, mi pare, Claudio – cioè l’angelo sterminatore in questo caso – , resta anche lui sconfitto, alla fine.

Ottima l’interpretazione degli attori a partire dal duo Fabrizio Falco (Claudio) e Danilo Nigrelli (German il professore) entrambi bravissimi, e bravi anche Pierluigi Corallo (il padre) e Alfonso De Vreese (Rafa ), buona la resa del duo femminile con Pia Lanciotti (la mamma borghese) e Mariángeles Torres (la moglie del prof) sconfitte sì, ma forse un po’ più consapevoli.

Visto al Piccolo Teatro Studio Melato di Milano. Repliche fino al 18 aprile 2019. Foto Masiar Pasquali

Il ragazzo dell’ultimo banco
di Juan Mayorga
traduzione Antonella Caron
regia Jacopo Gassmann
scene Guido Buganza, costumi Giada Masi
luci Gianni Staropoli, movimenti Alessio Maria Romano
sound designer Lorenzo Danesin, video a cura di Stefano Teodori
con (in ordine alfabetico) Pierluigi Corallo, Alfonso De Vreese, Fabrizio Falco, Pia Lanciotti, Danilo Nigrelli, Mariángeles Torres
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa