L'isola dei pappagalli

L’isola dei pappagalli con Bonaventura prigioniero degli antropofagi

Memore della gioventù artistica trascorsa accanto a Franco Passatore, Antonio Latella sa che in teatro l’omaggio a un grande uomo da poco scomparso non si fa imitandone le gesta ma tradendole con intelligenza e creatività. Bravissimi gli interpretiMaria Grazia Gregori


Uno spettacolo – quello andato in scena al Teatro Carignano di Torino – che è, allo stesso tempo, un omaggio e un “tradimento”. I due termini potrebbero sembrare del tutto lontani, ma sono assolutamente vicini se ci si riferisce a uno spettacolo di Antonio Latella. L’omaggio riguarda la sua gioventù artistica vissuta acanto a Franco Passatore, da poco scomparso, che ne intuì il talento. Il “tradimento” riguarda quello che è il segno creativo più profondo di Latella regista: rileggere i testi con la collaborazione della sua drammaturga Linda Dalisi, anche i classici più conclamati, con il pensiero, la creatività, l’intelligenza, direi anche la provocazione di un artista della nostra epoca. Oltre a tutto fedele al pensiero che in teatro se si ama davvero qualcuno bisogna tradirlo, imitarlo mai.

Ora L’isola dei pappagalli con Bonaventura prigioniero degli antropofagi di Sergio Tofano e Nino Rota, andato in scena la prima volta nel 1936, è un classico di quel teatro fantastico ma mai banalmente infantile che accompagnò per anni i ragazzini italiani che lo seguivano sul “Corriere dei Piccoli” facendo sempre il tifo per questo personaggio elegante, sottile, che alla fine delle situazioni più difficili in cui si veniva a trovare si guadagnava sempre un milione, cifra pazzesca per i tempi in cui si sognava – come diceva una celebre canzone – “mille lire al mese”. Un personaggio che ripeteva pur nella forma del fumetto l’eleganza, l’allure del suo inventore.

Il Bonaventura di Latella, protagonista di un viaggio avventuroso alla ricerca di un tesoro che non troverà durante il quale incontrerà mondi fantastici, inquietanti presenze da cui lui e i suoi compagni si salveranno sempre per il rotto della cuffia, al contrario, è un signore che viene trasportato su di una sedia a rotelle: un signore anziano, forse malaticcio, che viene portato in giro dal suo fido Bassotto fra infinite peripezie. Sta sulla sedia a rotelle forse perché è ormai vecchio e vivere l’avventura gli fa fisicamente fatica anche se lo spirito resta sempre quello. Devo dire che trovo commovente questo Bonaventura che porta in testa una bombetta rossa all’inglese, segnato dal tempo e dalla malattia, un po’ trascurato, ma sempre desideroso di andare alla ricerca di qualcosa che non c’è.

C’è una parete grigia in scena, una specie di sipario nel sipario, che è la fiancata di una nave dal cui oblò escono anzi vengono quasi vomitati fuori i personaggi. Ci si dice che la nave non è mai partita e che, forse, non partirà mai, chissà, cosicché questo viaggio potrebbe essere puramente fantastico. E il mondo che circonda questi personaggi che sembrano dei sopravvissuti, ci comunica una certa angoscia. Personaggi che non sono solo questo, ma degli attori-mimi formidabili che si muovono al suono di una musica eseguita dal vivo che mescola pop, rock, disco, e naturalmente anche le musiche di Rota con i musicisti in platea posti ai due lati del palcoscenico.

Chi sono questi personaggi? C’è chi pensa che se la nave non partirà non arriveranno più i turisti e c’è invece chi vorrebbe che rimanesse per mantenere la pace del luogo e poi c’è una figlia ribelle che ama il bel Cecè. La nave, finalmente parte per arrivare a un’ isola popolata di oscure presenze, buia, dove chi la abita sogna un gustoso pasto umano: è l’isola degli antropofagi, con tanto di re e regina e una deliziosa ragazza nera che gira portando con sé un coloratissimo pappagallo. È un mondo da cui fuggire, un mondo neanche tanto bonariamente crudele.

Ma quando la nave ritorna portando con sé la ragazza nera che nera non è più perché il viso le viene lavato e diventa un gran bel musetto, nel mondo in cui approdano fra battibecchi d’amore e melense canzoni sanremesi d’antan tipo Non ho l’età, la spiaggia a cui giungono è popolata da un mondo di bagnanti alla De Chirico, ma tutti grigi come se fossero stati colpiti da un cataclisma o calcificati dalla lava di un un’eruzione vulcanica.

Il ritorno, in questo spettacolo astratto e allo stesso tempo vitale di Latella è, letteralmente, un giro di pagina o per essere in tema, di boa, a partire proprio da Bonaventura che al contrario del solito non riceverà il suo bel milione. Tutto questo ci pare significare per Latella e per la sua drammaturga Linda Dalisi che qualcosa è definitivamente finito. Ecco allora che Bonaventura si alza dalla sua sedia a rotelle e si scatena in un ballo strepitoso con il suo fedele Bassotto per poi fermarsi ai lati del palcoscenico, quasi da spettatore, ad aspettare che le liti si compongano e che i personaggi ritrovino la loro vita di sempre. E intanto le statue – meglio i calchi dei bagnanti calcificati – vengono portati via a braccia dalla scena e tutto si ricompone. È una scena carica di significato e che ci pone delle domande: Bonaventura che lascia la sedia a rotelle non è certo un miracolato: significa forse che all’improvviso ritrovi la sua vita o piuttosto che, insieme al suo fedele Bassotto si allontani definitivamente da quel mondo per entrare in quello di cui sono fatti i sogni, dove tutto ormai non c’è più o, forse, è banalmente diverso. Un mondo per i grandi che una volta sono stati bambini, durissimo da vivere, altro che caricatura.

Formidabili gli attori tutti da lodare per l’intelligenza della loro presenza che si trasforma in una fortissima, creativa consapevolezza. Cantano, danzano, si muovono per la scena con assoluta padronanza, la stessa padronanza che offrono ai loro personaggi spesso segnati da un’ irrequietezza psicomotoria da non confondere in alcun modo con la superficialità. Irresistibile il ballo finale fra Bonaventura (Francesco Manetti) e il suo Bassotto (Alessio Maria Romano), l’ironia del Cecè di Leonardo Lidi ma vorrei ricordare anche Giuiuk la ragazza nera che abbandona l’isola degli antropofagi (Barbara Mattavelli), l’intrigante Rosolia di Marta Pizzigallo. E poi Michele Andrei, Isacco Venturini, Caterina Carpio.

Visto al Teatro Carignano di Torino. Repliche fino al 16 giugno 2019. Foto Brunella Giolivo

Questo slideshow richiede JavaScript.

L’isola dei pappagalli con Bonaventura prigioniero degli antropofagi
di Sergio Tofano e Nino Rota
adattamento Linda Dalisi
con (in ordine alfabetico)
Michele Andrei, Caterina Carpio, Leonardo Lidi, Francesco Manetti, Barbara Mattavelli, Marta Pizzigallo, Alessio Maria Romano, Isacco Venturini musicisti Federica Furlani, Andrea Gianessi, Alessandro Levrero, Giuseppe Rizzo
regia Antonio Latella
scene Giuseppe Stellato
costumi Graziella Pepe
luci Simone De Angelis
musiche Franco Visioli
assistente regia Brunella Giolivo
secondo assistente regia Alessandro Businaro
Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale