Se non ci fossero loro… Ha ragione Davide Annachini. Gran parte della vitalità musicale e lirica italiana – e per tutte le tasche- è ancora affidata ai teatri di tradizione. I quali, come ci spiega qui, spesso riservano grandi soddisfazioni.- Davide Annachini
I teatri di tradizione sono una realtà fondamentale per il mondo dell’opera e soprattutto in un momento di rinascita come questo i loro sforzi sono ancora più ammirevoli ed encomiabili. Ad esempio il Teatro Comunale di Modena – dedicato ai due concittadini più illustri nell’arte del canto, Mirella Freni e Luciano Pavarotti – ha presentato all’interno di un cartellone declinato tutto al femminile, con Lucia di Lammermoor e Giovanna d’Arco, una Norma di notevole rilievo, se si considera soprattutto la difficoltà esecutiva del titolo.
Realizzata in coproduzione con la Fondazione Teatri di Piacenza (dove ha già debuttato) e con il Regio di Parma (dove sarà prossimamente), questa Norma si giustificava senz’altro per la presenza di un soprano “monstre” come Angela Meade, che in America è una sorta di star tuttofare, nel senso di non avere apparenti limiti vocali e di repertorio, ma che da noi ha fatto capolino solo di recente e non sempre in parti tali da esaltarne tutte le potenzialità, come quelle del Verdi di Aida o Simon Boccanegra, a differenza del Belcanto, dove la sua voce maestosa, duttile ed estesissima ha modo di imporsi in maniera impressionante. Il ruolo della sacerdotessa belliniana è un traguardo per poche fuoriclasse ma la Meade ha dimostrato di dominarlo non solo con i suoi potentissimi mezzi, che hanno inondato la sala del teatro nei momenti più infuocati come hanno saputo piegarsi a sfumature impalpabili, sino agli incredibili do acuti in pianissimo. Quello che ha maggiormente colpito nella sua prestazione è stata una presa del ruolo incisiva, intensa e nell’ultimo atto travolgente, a dispetto di una fisicità monumentale pari a quella vocale, che la Meade ha saputo gestire con grande sobrietà e padronanza sceniche. Dolcissima e furente, incantata e piagata, la sua Norma è stata protagonista a tutto tondo e finalmente, dopo tante versioni surrogate degli ultimi decenni, ascrivibile ad un autentico “soprano drammatico d’agilità”, come lo erano le interpreti ottocentesche e come solo la Callas e pochissime altre lo sono state nel secolo scorso.
Ma questa Norma non era confezionata solo a misura della primadonna. Sin dalla Sinfonia si è potuto capire che sul podio stava un direttore – Sesto Quatrini – con tutti gli attributi del giovane predestinato: gesto deciso, taglio esecutivo asciutto e nitido, lucida consapevolezza dello stile, del sostegno al canto e della resa teatrale di un’opera in bilico tra staticità neoclassica e furore romantico. L’Orchestra Filarmonica Italiana ha suonato benissimo, con sonorità compatte e lucenti, come il Coro del Teatro Municipale di Piacenza – preparato da Corrado Casati – si è fatto valere in un’opera che chiede molto alle masse vocali, come nel celebre inno “Guerra, guerra” già in odore di Risorgimento.
A fianco della Meade si sono distinti interpreti perfettamente centrati, a cominciare da un veterano come Michele Pertusi, un Oroveso di lusso per la vocalità ampia, solenne e nobilissima quanto per l’autorevolezza misurata dell’espressione. Interessante il Pollione di Stefano La Colla, tenore spinto di notevole ampiezza vocale, fraseggio scultoreo e proprietà scenica, che se solo evitasse certi fastidiosi portamenti per raggiungere gli acuti – di per sé squillanti e potenti – e ponesse maggiore attenzione all’esattezza esecutiva avrebbe i numeri per posizionarsi a livelli ancora più alti. Delicata e sensibile Adalgisa, corretta nel canto anche se limitata per volume ed estensione, Paola Gardina ha fronteggiato i due colleghi più con lo stile che con la potenza, mentre Stefania Ferrari e Didier Pieri sono stati rispettivamente una Clotilde e un Flavio all’occorrenza funzionali.
Lo spettacolo di Nicola Berloffa – con le scene suggestive di Andrea Belli, i costumi raffinati di Valeria Donata Bettella e le luci efficaci di Marco Giusti – trasportava l’azione dall’epoca dei Galli a quella di un Ottocento risorgimentale, tra rovine di palazzi monumentali, patrioti feriti e nobildonne crocerossine, ma soprattutto collocava le passioni dei protagonisti tra le mura domestiche, in una dimensione borghese in cui i tradimenti, i figli clandestini e gli eroici riscatti trovavano una loro ragion d’essere, ancora più che tra i Druidi e i Romani di Bellini.
Grandissimo successo, in particolare per la Meade, battezzata con entusiasmo dal pubblico emiliano.