Paola Vannoni e Roberto Scappin, animatori di Quotidiana.com, praticano un teatro di matrice eminentemente surreale. Una proposta curiosa, da vedere e su cui riflettere – Renato Palazzi
Non avevo finora mai assistito a uno spettacolo della Compagnia quotidiana.com, e arrivo quindi a dire la mia con colpevole ritardo. Li avevo incrociati, forse anche fisicamente, in qualche festival, ne avevo seguito a distanza gli spostamenti, ma – senza un vero motivo, come accade in questo mestiere – non mi era capitata l’occasione di vederli in azione. Sono andato quasi per caso all’Elfo Puccini di Milano, dove presentavano Sembra, ma non soffro, e mi sono trovato di fronte a un fenomeno alquanto originale. Lo spettacolo è raffinato, intelligente. Diverte, ma uscendo ci si accorge di averne avuto qualcosa più del semplice divertimento.
Che tipo di teatro fanno Paola Vannoni e Roberto Scappin, corpi e anime di quotidiana.com? Verrebbe da dire un teatro di matrice eminentemente surreale, forse vicino a certe storiche espressioni di quello che un tempo si chiamava teatro dell’assurdo. In estrema sintesi, i due lavorano sul non-senso, su un bizzarro sradicamento della comunicazione verbale. Ma si tratta di un non-senso che forse non è affatto privo di senso, e che anzi proprio attraverso la palese insensatezza riesce a esprimere dei significati molto precisi. Si pensi, ad esempio, al finale di Sembra, ma non soffro, in cui si mettono incongruamente a cantare Bella ciao, e arrivati in fondo si interrompono lasciando in sospeso proprio l’ultima strofa: «è questo il fiore del partigiano/morto per la…», e quel silenzio, quel non pronunciare la parola libertà assume forte rilievo evocativo.
Lo spettacolo è apparentemente fatto di nulla, un tubo al neon appoggiato per terra, due scranni bianchi da chiesa e le due figure vestite di scuro che parlano restando prevalentemente sedute o inginocchiate. Si tratta invece, di fatto, di una costruzione molto più complessa, in cui il testo, la recitazione, la fissità allibita delle posture si intrecciano strettamente, e concorrono in pari misura a determinarne il linguaggio. Fondamentale, comunque, è il peculiare impianto interpretativo messo a punto dai due, che con la loro dizione pigra, rallentata, coi loro toni straniati, ottusamente impersonali, quasi vagamente assenti creano una gabbia espressiva rigorosa e stilizzatissima, una specie di equivalente vocale di quella loro scrittura ingegnosamente inconcludente.
Il nome del gruppo, quotidiana.com, suggerisce un esplicito richiamo alla vita di ogni giorno: alcuni degli argomenti che affrontano, seppure spiazzati, decontestualizzati, appartengono in qualche modo alla realtà, e non è escluso che in molti casi abbiano addirittura dei diretti risvolti autobiografici. Il loro stralunato combinarsi li spinge però verso un’esasperazione paradossale. Gelidamente, spassionatamente, direi quasi con precisione chirurgica – più che con qualche furore satirico – i due mettono in luce il vacuo bla bla che corrode le nostre relazioni. Mostrando il vuoto che sta dietro la realtà, svelano la natura prettamente metafisica di quest’ultima. È la contemplazione del vuoto il più attinente e insostituibile degli “esercizi di condizione umana” enunciati nel sottotitolo della loro Trilogia dell’inesistente.
Il teatro di quotidiana.com consiste principalmente nel rapporto tra la Vannoni e Scappin. Tra i due attori per ciò che sono, tra i loro personaggi per ciò che incarnano. È tipicamente un gioco a due, un confronto dialogico e un incastro fra caratteri opposti – il razionale e l’istintivo, il fiducioso e il rassegnato, il furbo e lo sciocco – che attraversa e ribalta tutta la variegata tipologia in cui è stato via via declinato, il Bianco e l’Augusto, il comico e la spalla, i fratelli De Rege col mitico «vieni avanti, cretino!», Vladimiro ed Estragone. Il meccanismo che attuano è elementare, ma efficacissimo: uno domanda, l’altra risponde. Risposte acute a domande dissennate, e viceversa.
I due discutono di filosofia, di religione, si interrogano alla loro maniera su Dio e i comandamenti, e poi si mettono a parlare delle più futili banalità, i fermenti lattici, la gente che si lava il collo o le orecchie o le ascelle. E anche qui le due sfere si intrecciano, le domande filosofiche ricevono risposte terra a terra, le domande terra a terra richiamano risposte inutilmente pensose. A volte questo scarto pare invece innescare sorprendenti lampi beckettiani: «Perché ci siamo inginocchiati?» – «Per vedere se la sofferenza diminuiva», è uno scambio di battute che non sarebbe dispiaciuto all’autore irlandese. E tutte le riflessioni sulla crocifissione e sui miracoli potrebbero rimandare a certi passi di Aspettando Godot sulla sorte dei due ladroni.
Insomma, è una proposta anomala, curiosa, da vedere e su cui riflettere. Ed è un peccato che il pubblico dell’Elfo Puccini non stia intervenendo con la solita, partecipe adesione.
Sembra ma non soffro
di e con Roberto Scappin e Paola Vannoni
produzione quotidiana.com
con il sostegno di Kilowatt Festival e Provincia di Rimini
Visto al Teatro Elfo Puccini di Milano. Repliche fino al 15 dicembre 2013