L’opera di Donizetti che ha inaugurato la stagione lirica del Teatro Filarmonico di Verona si è avvalsa della regia del popolare comico. Un allestimento sobrio, ben diretto e cantato – Davide Annachini
Il Don Pasquale con cui si è inaugurata la stagione del Teatro Filarmonico di Verona si segnalava in particolare per il ritorno alla regia lirica di Antonio Albanese, il popolare attore che già nel nome di Donizetti, con Le convenienze e inconvenienze teatrali alla Scala di Milano, aveva fatto il suo debutto nel teatro d’opera nel 2009. Non è una novità vedere un artista preso dal teatro o dal cinema come regista lirico, ma è altrettanto facile assistere alla sua caduta, soprattutto per via di una profonda distanza tra i due diversi linguaggi teatrali, quello recitato e quello cantato. C’è chi dimostra un generale spaesamento, c’è chi esce dal seminato, c’è chi usa lo stesso codice della prosa per una forma di spettacolo che richiede tutt’altro. Da parte sua Albanese si è mosso con il piede giusto, nel rispettare innanzi tutto la musica, che resta e deve restare protagonista, e nel delineare al tempo stesso un’interpretazione personale, garbata e poetica dell’ultimo capolavoro buffo di Donizetti.
Trasportando l’azione dalla Roma ottocentesca alla Verona dei giorni d’oggi, Albanese non ha compiuto una scelta arbitraria ma una rilettura plausibile, in cui Don Pasquale – qui proprietario di una fiorente azienda vinicola – occhieggiava ad un ipotetico parvenu un po’ gretto e credulone del Nord-Est italiano. Ma non è sceso nel macchiettismo facile e ruffiano, limitandosi solo alla spiritosa sottolineatura di alcuni personaggi di contorno, come i domestici di casa, tutti un po’ claudicanti, talvolta ubriaconi o affetti da tic nevrotici, come quello di scostare a colpi di testa un ciuffo troppo ribelle. Forse da un comico come lui ci si sarebbe potuto aspettare qualche effetto più marcato, ma d’altro lato hanno convinto la freschezza della recitazione, il fluire della commedia insieme alla musica e l’attenzione rivolta anche all’aspetto amaro della storia, quando l’ingenuo Don Pasquale, caduto nei raggiri degli altri tre protagonisti, si trova ad autocompiangersi per aver sposato una giovane e dispotica Santippe.
Alla cifra registica hanno perfettamente corrisposto le scene luminose e pittoresche di Leila Fteita come i costumi fin troppo quotidiani di Elisabetta Gabbioneta, che con sobrietà hanno creato una cornice funzionale e dalle atmosfere delicatamente poetiche, come nel caso del variopinto vigneto in fiore o del cielo romanticamente iperstellato dell’ultimo atto.
Ma non si è trattato solo di un’operazione registica quanto di un’edizione perfettamente calibrata tra messinscena ed esecuzione musicale, in cui si è imposta la direzione del giovane Omer Meir Wellber, già collaboratore di Daniel Barenboim alla Scala ed erede di Lorin Maazel al teatro di Valencia. In quest’occasione il maestro israeliano ha convinto più che in altre occasioni per il piglio e la chiarezza della sua lettura, scattante, coloristicamente varia e sempre in tensione, oltre che perfettamente controllata nei rapporti tra buca-palcoscenico, anche quando la regia ha dirottato il coro in platea per cantare alle spalle del direttore.
La compagnia di canto, anche nel cast presentato in seconda battuta, ha dimostrato un amalgama perfetto e un livello qualitativo molto apprezzabile, a partire dalla Norina brillante, duttile e agile di Barbara Bargnesi, interprete molto disinvolta anche scenicamente. Interessante l’Ernesto del tenore uruguayano Edgardo Rocha Francesco Demuro per la vocalità nitida e svettante sulle tessiture acutissime (in particolare nell’impervia cabaletta del secondo atto), in grado di piegarsi però anche alle dolcezze del celebre duetto Tornami a dir che m’ami o di esibire un ottimo legato nelle due difficili arie. Da parte sua il baritono Omar Montanari è stato un Don Pasquale misurato negli effetti e ben cantato, anche se fin troppo giovanile nell’aspetto, quasi più indicato a Malatesta, in cui invece si è fatto apprezzare Vittorio Prato, giovane e promettente baritono, forse un po’ troppo ingessato dalla regia nel look giacca e cravatta più da funzionario di banca che di dottore.
Molto caloroso il successo di pubblico, che ha felicemente battezzato l’avvio di una stagione ricca di appuntamenti interessanti come quella veronese.
Vista al Teatro Filarmonico di Verona, il 17 dicembre 2013. Prossime repliche il 19 e 22 dicembre 2013
Don Pasquale
Dramma buffo in tre atti
libretto di Giovanni Ruffini e Gaetano Donizetti
musica di Gaetano Donizetti
direttore Omer Meir Wellber
regia Antonio Albanese
scene Leila Fteita
costumi Elisabetta Gabbioneta
Don Pasquale Simone Alaimo (13, 15, 19 dicembre) – Omar Montanari (17, 22 dicembre)
Dottor Malatesta Mario Cassi (13, 15, 19 dicembre) – Vittorio Prato (17, 22 dicembre)
Ernesto Francesco Demuro (13, 15, 17 dicembre) – Edgardo Rocha (19, 22 dicembre)
Norina Irina Lungu (13, 15, 19 dicembre) – Barbara Bargnesi (17, 22 dicembre)
Un notaro Antonio Feltracco
orchestra, coro e tecnici dell’Arena di Verona
maestro del Coro Armando Tasso
direttore allestimenti scenici Giuseppe De Filippi Venezia
nuovo allestimento della Fondazione Arena di Verona