Anche se teenager quando compose per Milano “Lucio Silla” Mozart dava già mostra del suo genio. Onorato pienamente dall’attuale proposta scaligera – Davide Annachini
A più di trent’anni di distanza dalla splendida edizione firmata da Patrice Chéreau e con un magnifico cast vocale (Lella Cuberli, Ann Murray, ecc.), il Lucio Silla di Mozart è tornato alla Scala, in un allestimento coprodotto con il Festival di Salisburgo. Si è trattato di un felice ritorno, vuoi perché l’opera scritta per Milano da un Wolfgang appena sedicenne ha una sua precisa ragione di ritrovare la città che ne diede i natali (anche se non proprio il successo), vuoi per la bellezza della musica, di difficile ascolto e ancor più di difficile esecuzione.
Legato all’impronta classica metastasiana, a cui si rifà il libretto di Giovanni De Gamerra, Lucio Silla presenta la tradizionale sequela di grandi arie solistiche o di isolati duetti e concertati finali, offrendo più spazio alla vocalità che alla drammaturgia, di per sé convenzionale e piuttosto fragile. Il respiro della scrittura è però già del grande musicista e non tanto del semplice enfant prodige, come veniva salutato all’epoca il giovane Mozart, nel 1772 già al suo terzo viaggio in Italia. È nell’atmosfera solenne, nel rilievo nobilissimo dei protagonisti (o come in quello piccante del personaggio di Celia), nei toni agitati o patetici delle arie che la qualità del musicista di rango emerge, con una luminosità, una fantasia e una nitidezza assolute. Ma a colpire è soprattutto la capacità di coniugare il virtuosismo alla tensione emotiva, elaborando vocalizzi interminabili e intricatissimi – destinati a ugole eccelse come il soprano Anna De Amicis e il celebre castrato Venanzio Rauzzini – in grado di restituire al tempo stesso l’animosità, la passione, lo slancio, l’eroismo dei personaggi. Pagine elaboratissime, contraddistinte dai continui “da capo” con variazioni sempre più ardite e da eseguire con un’ampiezza di fiati degne di un sub in apnea, ma ovviamente senza evidenziarne lo sforzo e garantendo nelle agilità la sgranatura di ogni singola nota.
Sotto questo aspetto l’esecuzione scaligera poteva vantare se non proprio delle voci straordinarie quanto a smalto e volume quanto meno delle belcantiste di tutto rispetto, a cominciare da Marianne Crebassa, un Cecilio en travesti non solo di affascinante presenza scenica ma di bel timbro, di ottimo virtuosismo e di suggestiva espressività. Le faceva da contraltare la Giunia di Lenneke Ruiten, voce piccola e un po’ spenta ma impeccabile nei passi di coloratura, snocciolati con grande precisione e aplomb anche in quei vocalizzi ai limiti dell’eseguibilità che costellavano le sue lunghe arie. Kresimir Spicer – unico titolare del ruolo di Lucio Silla in seguito alla rinuncia per indisposizione di Rolando Villazon – è un tenore di buon timbro e tenuta anche se in questo caso è sembrato talvolta abbandonarsi ad un canto sempre molto sonoro e spesso un po’ sopra le righe negli accenti. Molto brava e puntuale, soprattutto nelle numerose note staccate delle sue arie, la Celia di Giulia Semenzato ed efficace, al di là di certe discontinuità di emissione, il Lucio Cinna di Inga Kalna.
L’esecuzione faceva capo soprattutto ad uno specialista come Marc Minkovski, direttore di grande eleganza e stile, che ha impresso alla partitura energia e brillantezza, senza perdere di vista l’ampiezza aulica tipica di un melodramma coturnato come questo, né la toccante intensità espressiva e il rilievo drammatico.
Lo spettacolo si sposava idealmente a questa lettura, senza ambire alla tensione di un’interpretazione solenne e disperata come poteva essere a suo tempo quella di Chéreau, nel confezionare uno spettacolo di maniera, molto classico nella messinscena e ironicamente enfatizzato nella gestualità tipica della grande tragedia a lieto fine. La regia di Marshall Pynkoski si è mossa molto sull’equilibrio e sulla cura dei particolari, avvalendosi delle scene e dei costumi di gusto impeccabilmente settecentesco firmate da uno specialista del genere in campo cinematografico come Antoine Fontaine (basti ricordarlo per Vatel di Joffé e Marie Antoinette di Coppola), raffinatissimi nelle linee e nei colori.
Ottimi da parte loro orchestra, coro e corpo di ballo scaligeri, applauditissimi come tutti gli interpreti da un pubblico particolarmente colpito dalla qualità dell’esecuzione e, ovviamente, dalla musica superba del teenager Amadeus.
Visto il 14 marzo al Teatro alla Scala di Milano
Lucio Silla
Libretto di Giovanni De Gamerra
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Lucio Silla Kresimir Spicer
Giunia Lenneke Ruiten
Cecilio Marianne Crebassa
Lucio Cinna Inga Kalna
Celia Giulia Semenzato
Direttore Marc Minkovski
Maestro del Coro Bruno Casoni
Regia Marshall Pynkoski
Scene e costumi Antoine Fontaine
Coreografia Jannette Lajeunesse Zingg
Luci Hervé Gary
Orchestra, Coro e Corpo di Ballo del Teatro alla Scala
Foto Amitrano-Brescia