Dopo Parkin’son e OOOOOOOO Giulio D’Anna presenta una riflessione coreografica sul tema della resistenza e della libertà. Ma dove manca la convinzione.- Silvia Poletti
Con Parkin’son e OOOOOOOO Giulio D’Anna, marchigiano d’Olanda ( dove lavora e trova principale supporto produttivo), aveva fatto intravedere la possibilità di una personale via al teatrodanza nel quale il dato autobiografico e una capacità empatica di ascolto della vita propria e altrui sapeva tradursi in un’azione di performance nella quale corpo gesto parole suoni avevano una freschezza e una ragion d’essere convincenti. Però forse, con eccessivo ottimismo e qualche premura di troppo è stato considerato immediatamente un autore fatto e finito, ( di quelli, insomma, con la maiuscola) prova provata di una vitalità della danza contemporanea nazionale under 40 coté post-espressionista e postmoderna.
Alla sua nuova prova, R-Esistere, in prima nazionale al Teatro Cantiere Florida per Fabbrica Europa 2015, invece ci troviamo di fronte a un metteur en scene ancora acerbo, poco incisivo registicamente e deboluccio nella drammaturgia e nella traslazione di questa in un linguaggio di movimento espressivo. E qui non si parla di coreografia nell’accezione più pura del termine ( ma visto lo scarno vocabolario di D’Anna c’è da chiedersi se sia poi da considerarlo – e lui stesso si consideri- davvero un coreografo; non a caso parla di concept e regia), ma semplicemente di un senso del corpo nello spazio scenico che abbia una chiara funzione espressiva, ‘drammatica’ relativa all’argomento trattato.
In questo caso,come suggerisce il titolo, D’Anna abbraccia l’idea del diritto di ciascuno di noi a esistere, al di là di ogni aspetto, credo, orientamento di genere: tema imponente e ricchissimo di spunti. Troppo? Può darsi. In effetti non aiuta la tirata del Grande Dittatore di Chaplin sul diritto di ogni popolo, di ogni persona alla dignità e alla libertà, alla bellezza e alla felicità. Parole alate, commoventi e coraggiose – se solo si pensa quando furono dette. Ma qui pesanti come macigni. Perchè messe in apertura, quasi ad assioma, del lavoro; ingannevoli, perchè sollevano molte le aspettative: userà anche D’Anna la medesima forza satirica/umanistica di Chaplin nello svolgere il suo tema? Oppure ne coglierà l’afflato civile? O la pietà? Le parole aleggiano ancora sulle teste degli spettatori che gli interpreti-di varia età e stazza fisica- dopo averci accolto saltellando su una pedana illuminata che ricorda le discoteche anni ’80-dipanano un groviglio di corpi, ora arpionati, ora abbandonati, ora slanciati, ora trattenuti, in una sequenza lunga e prevedibile.
Non è chiaro se sia per la debolezza intrinseca dei performers – non particolarmente interessanti- o per la vaghezza delle intenzioni dell’autore: le consuete spogliazioni con vista di seni e pudende varie ( con peni nascosti tra le gambe ad asserire la libertà di scegliere chi essere veramente; ragazze efebiche di cui si capisce il genere solo, appunto, tolta la maglietta) fanno parte di un repertorio così trito da risultare noiose piuttosto che scontate.
Più il pezzo prosegue, con il consueto andamento orizzontale, più si percepisce insomma uno scollamento tra intenzioni e risultato scenico. Quello che spinge però più a riflettere è che R-Esistere, non cerca neppure di tentare vie diverse, sperimentare davvero modalità nuove di raccontare, esplorare nuove forme: è come se questo giovane autore pure così partecipe e sensibile nei due titoli precedenti, qui abbia messo il pilota automatico, declinando il lavoro senza alcuna vera ispirazione. Ce n’era allora davvero bisogno? E soprattutto D’Anna ne sentiva davvero bisogno?
La foto è di Jochem Jurgens
Visto al Teatro Cantiere Florida, Firenze nell’ambito di Fabbrica Europa, 21 maggio 2015