In “Trash Cuisine” presentato a Mittelfest 2015, il Belarus Free Theatre confeziona un altro potente atto d’accusa contro i regimi dittatoriali e il loro sistematico uso della tortura – Maria Grazia Gregori
Ormai di casa in Italia il Belarus Free Theatre ha presentato, a Mittelfest 2015, uno spettacolo di grande forza emotiva e visiva dal titolo solo all’apparenza accattivante Trash Cuisine. Non c’è nulla che spinga al sorriso in questo lavoro di crudo impatto politico, nulla che strizzi l’occhio alla fama dei molti cuochi opinion leader che dilagano sugli schermi di tutto il mondo. La “cucina” alla quale qui si allude, infatti, è una cucina mostruosa, un luogo degli orrori, dove si tortura e si eliminano non solo i criminali ma anche i dissidenti, come succede in 94 paesi del mondo che applicano la pena di morte. Una denuncia contro la loro patria, la Bielorussia del dittatore Lucashenko, l’unico paese europeo in cui la pena di morte abbia ancora corso.
Nato a Minsk nel 2005, in un paese dove non è facile vivere, con la volontà di essere un baluardo di libertà anche espressiva, il BFT si è abituato in patria a una vita anche teatrale underground, sotterranea, non certo per “fare avanguardia” ma per lavorare sottotraccia e difendere il diritto alla propria esistenza artistica, difficile da conservare. Ancora oggi la vita in patria del Belarus subisce questo feroce ostracismo tanto che alcuni dei suoi membri sono stati costretti all’esilio in altri paesi dell’Europa. Ma il legame di questo gruppo raccolto attorno allo scrittore e drammaturgo Nikolai Khalezin e alla drammaturga Natalia Kaliada – che privilegia un teatro basato su storie vere di vite innocenti distrutte dalle torture e dalla morte e che accanto ad alcuni interpreti bielorussi può contare su attori di lingua inglese, coprodotto a Londra insieme a Young Vic, con il sostegno di Amnesty International che lo ha supportato nelle ricerche – è sempre fortissimo. Lo intuiamo soprattutto quando si racconta e si rappresenta la morte di due giovani uomini di ventisei anni, imprigionati e condannati entrambi alla pena capitale lo scorso marzo, dopo essere stati accusati di un attentato di cui hanno sempre respinto la paternità, i cui corpi sono stati negati per la sepoltura alla famiglia, fatto che ha destato scalpore in tutto il mondo, che ha spinto l’Unione Europea a chiedere alla Bielorussia la sospensione definitiva della pena capitale.
Muovendosi leggeri per il palcoscenico, quasi a passo di danza, gli attori del Belarus rappresentano quasi senza parole, le torture, le morti come tragiche sequenze di una pantomima che toglie il respiro con l’aiuto di passi tratti da alcune opere di Shakespeare da Amleto a Macbeth, da Il mercante di Venezia a Giulio Cesare e Riccardo III, testi che sottolineano non solo la provvisorietà della vita ma anche la violenza che ogni potere porta con sé. Di fronte ai nostri occhi in questa “cucina” si squaderna dunque un libro degli orrori fra gole tagliate, garrota, impiccagioni, e ogni genere di tortura dalla testa tenuta sottacqua che, prolungata, può dare la morte, alle scariche elettriche con elettrodi applicati sui genitali, si mostra in tragica sequenza come si muore sulla sedia elettrica con la testimonianza raccapricciante dell’avvocato difensore di una vittima e quella per iniezione letale mentre cantano Elvis Presley e i Beatles, si cita il mitico, ribelle attore e cantautore russo Vladimir Vysotskij, la terribile prigionia dell’irlandese Liam Holden, i desaparecidos ai tempi della feroce dittatura dei generali in Argentina, la guerra civile fra Hutu e Tutsi, messi a confronto in qualche modo alla terribile agonia e morte dell’uccello con cui imbandire un piatto da intenditori – si fa per dire – detto l’ortolano. Oppure si può parlare di tutto questo come fanno due attrici che, sedute a un tavolo, gustano una coppa di fragole e crema mentre si parla di sangue.
Per questo gruppo che in tempi recenti si è scoperto un’anima ecologica, tutto avviene attraverso il corpo e la parola dove il corpo si fa parola e la parola corpo, con un orgoglio identitario, con un legame profondo alle proprie radici che lascia quasi sgomenti e commossi gli spettatori, fino al liberatorio applauso finale.
Trash Cuisine
ideato e realizzato da Belarus Free Theatre
scritto da Nicolai Khalezin e Natalia Kaliada sulla base di storie vere
con i contributi di Stephanie Pan, Nastassia Shcherbak, Aleh Sidorchyk, Clive Stafford Smith e Philippe Spall
regia di Nicolai Khalezin
concept, condirezione del movimento, scene e costumi Nicolai Khalezin e Natalia Kaliada
musiche composte da Arkadiy Yushin
musica incidentale Stephanie Pan
musicista Ignatius Sokal
coreografia e direzione prove Bridget Fiske
design dell’allestimento Yuri Kaliada
design delle luci Andrew Crofts
con Victoria Biran, Kiryl Kanstantsinau, Siarhei Kvachonak, Esther Mugambi, Stephanie Pan, Pavel Haradnitski, Maryia Sazonava, Philippe Spall, Ignatius Sokal
responsabile di produzione Marty Moore
responsabile di palcoscenico Svetlana Sugako
responsabile di compagnia Nadia Brodskaya
traduzioni Olga Moskaleva
produzione originale e ricerche Fenella Dawnay
produttori esecutivi Natalia Kaliada e Nicolai Khalezin
per Belarus Free Theatre:
responsabile generale di produzione Clare Robertson
responsabile campagne e eventi Julia Farrington
responsabile PR Jennifer Reynolds
amministratore di compagnia Vasanthi Argouin
co-prodotto a Londra con Young Vic e il sostegno di Lift. Ricerche effettuate con il supporto di Amnesty International.