Ispirata al film omonimo di Luis Bunũel, una rassegna musicale del tutto particolare, quest’anno itinerante nel Canton Ticino. Diretta da Marco Pagliarani, è stata dedicata al repertorio antico e moderno ispirato al canto degli uccelli. Con esiti davvero sorprendenti – Davide Annachini
Ispirata al titolo di un film di Bunũel, La Via Lattea è una rassegna musicale del tutto speciale, esclusiva sotto il profilo delle scelte artistiche e al tempo stesso popolare per la volontà di abbinare gli appuntamenti concertistici ad un percorso itinerante, come una sorta di pellegrinaggio non solo finalizzato alla scoperta di pagine e repertori quanto mai desueti ma anche a quella di bellezze artistico-paesaggistiche sorprendenti. Giunta alla sua dodicesima edizione, grazie alla direzione artistica di Marco Pagliarani, compositore e musicista raffinatissimo, La Via Lattea si è mossa in area ticinese, immediatamente oltre il confine italiano, dove le iniziative tese alla valorizzazione del territorio raccolgono maggiore attenzione da parte delle istituzioni rispetto a casa nostra. Se l’efficientissima équipe organizzativa è italiana, l’iniziativa dimora quindi prevalentemente in Svizzera, pur tenendo talvolta un piede anche da noi.
L’edizione di quest’anno si intitolava Macchina per cinguettare, come il famoso quadro di Klee, e si incentrava sul repertorio antico e moderno ispirato al canto degli uccelli, convocando artisti provenienti da tutto il mondo, tra cui alcuni specialisti nell’arte dell’evocazione dell’universo ornitologico. Il tutto proposto nell’arco di cinque giorni e localizzato – come all’interno di un’appassionante caccia al tesoro – tra boschi e conventi, musei e battelli, chiese e sale da concerto, che un pubblico di fedelissimi e non necessariamente di addetti ai lavori poteva raggiungere via lago o via funicolare, inerpicandosi tra i monti o affrontando sentieri silvestri, un po’ come nel surreale pellegrinaggio a Santiago de Compostela descritto da Bunũel.
E ogni “stazione” di questo cammino rivelava di volta in volta sorprese in cui era difficile disgiungere il fascino della musica da quello dell’ambiente, come nel caso del Catalogue d’Oiseaux, opera monumentale di Olivier Messiaen degli anni Cinquanta e qui proposta all’interno del bosco di Serpiano da sei diversi pianisti (Andrea Corazziari, Michael Mahnig, Benjamin Kobler, Antoine Didry Demarle, Stefano Nozzoli, Tuija Hakkila), a tre a tre impegnati in un’esecuzione “simultanea”, alla fine presentata integralmente alle prime luci dell’alba.
Se le note incantate di Messiaen, grande amante della natura, si sposavano all’immagine dei pianoforti collocati tra le piante con un effetto surreale alla Magritte, non meno straniante era l’impatto tra Voices and Piano, del contemporaneo austriaco Peter Ablinger, e gli stupefacenti interni del Museo Vincenzo Vela di Ligornetto, vicino a Mendrisio. Da un lato i lieder creati dalla computerizzazione delle voci della Magnani e di Pasolini, di Apollinaire e di Borges, e sostenuti dall’accompagnamento al piano (solista il bravissimo Emanuele Torquati), dall’altro l’austerità e l’imponenza delle statue di Vela, che fu scultore prediletto dai Savoia in epoca risorgimentale e di cui figura una sequela di incredibili busti e monumenti in gesso in quella che fu la sua splendida dimora, ora trasformata in gipsoteca, dalle linee ottocentesche miscelate alla raffinatissima ristrutturazione moderna.
Di tutt’altro sapore gli interventi particolarissimi tenutisi in battello sul Lago di Lugano, con protagonista il duo vocale ginevrino Jacques Demierre–Vincent Barras, che in Voicing through Saussure (omaggio all’omonimo fondatore della linguistica moderna) ha dato vita ad un incessante intrecciarsi di suoni e parole, nel ricavare dalle sonorità delle lingue antiche una musicalità del tutto atipica e moderna, mentre il saxofonista Hans Koch, ha trovato eco alle sonorità profonde del suo clarinetto basso sotto le arcate del ponte autostradale di Melide, inedita cassa armonica per Bird & Bridge dello stesso Koch.
I momenti più entusiasmanti della rassegna – oltre al Gran Finale all’Auditorium della Radio Svizzera Italiana, dove si sono potute ascoltare alcune composizioni dello stesso Pagliarani – sono stati sicuramente due: Syrinx, fantasia ornitologica con canto persiano, flauti precolombiani e “chanteurs d’oiseaux”, che si è tenuto nella suggestiva cornice del Chiostro dei Serviti a Mendrisio, e l’incredibile Ensemble Clément Janequin alla panoramica Chiesa Santa Croce a Riva San Vitale, a picco sul lago.
Specialista di fama mondiale del repertorio vocale rinascimentale, l’Ensemble francese composto da Dominique Visse, Hugues Primard, Vincent Bouchot, François Fauché. Renaud Delaigue, Eric Bellocq rappresenta un concentrato di stile, musicalità, comunicativa assolute, come ha dato modo di dimostrare in alcune irresistibili pagine dello stesso Janequin, ispirate all’ornitologia, attraverso un’esecuzione elettrizzante. I contrasti tra i suoni dei più diversi animali, giocati con effetti di strepitosa bravura e ironia, hanno dato vita ad una sorta di Arca di Noè, in cui le diverse voci di un comico bestiario, che si sovrapponevano sbuffando, stridendo, beccandosi, sortivano un effetto esilarante e musicalmente sorprendente. Dalla note limpide e acutissime del controtenore Visse (fondatore del gruppo) a quelle profonde e vibranti come una canna d’organo del basso Delaigue l’esecuzione ha rivelato i segni dell’eccezionalità, soprattutto per la nonchalance e la precisione con cui sono state condotte in porto pagine di difficilissima esecuzione.
Tutt’altra emozione nel caso di Syrinx, nome legato al mitologico flauto di Pan: qui l’accostamento tra stili ed esecutori diversissimi ha dato vita ad una serata unica nel suo genere, grazie agli interventi strumentali effettuati con flauti e vasi di coccio d’ispirazione precolombiana, in grado di restituire incredibilmente il cinguettio degli uccelli, dal travolgente peruviano Esteban Valdivia e da un celebre specialista della musica medioevale quale Pierre Hamon, raffinatissimo interprete e referente del gruppo. Straordinarie le voci, quella del virtuoso iraniano Taghi Akhbari, impegnato in alcune musiche persiane dove ha esibito una tecnica particolarissima, che affonda le sue radici addirittura in Caccini e nella Camerata de’ Bardi e che gli permette di emettere gorgheggi simili a trilli giocati su larghi salti di note, e quelle dei cosiddetti Chanteurs d’oiseaux. Nel loro caso il termine “voce” può sembrare improprio, visto che lo strumento di espressione di questo sensazionale duo – i francesi Jean Boucault e Johnny Rasse – è il fischio, usato nelle emissioni più incredibili per restituire il canto degli uccelli. Con il solo uso delle labbra e delle mani i due amici francesi, che da ragazzini acquisirono questa tecnica d’imitazione di storica tradizione in Francia, hanno dato vita non solo ad un’esecuzione stupefacente per realismo sonoro – più funambolico Rasse, più poetico Boucault – ma soprattutto per le modulazioni infinite (dal pianissimo al fortissimo) e per la capacità di dialogare reciprocamente, come in un duetto tra cantanti veri. Virtuosismo, certamente, ma soprattutto la capacità di trasportare lo spettatore dal mondo dei rumori odierni, fatti di clacson e telefonini, a quello primitivo della natura e più precisamente della poesia. Assolutamente incantevole.
La Via Lattea – visto dal 19 al 23 agosto – luoghi vari del Canton Ticino. Nella foto: Ensemble Clément Janequin. Nel video: Johnny Rasse e Jean Boucault, Chanteurs d’oiseaux