A trentadue anni dalla prima rappresentazione che li rivelò, i Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa hanno riportato in scena nell’ambito della rassegna “Stanze” l’atto unico tratto da Genet che mantiene intatta la sua suggestione – Maria Grazia Gregori
Ci sono volute le due operose tessitrici Alberica Archinto e Rossella Tansini con le loro Stanze a riportarci alla memoria uno spettacolo di ben trentadue anni fa. Ho scritto spettacolo ma in realtà di uno “Studio” si trattava destinato poi a diventare un grande successo e a segnare il cammino anch’esso ormai trentennale di Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa, gruppo di ricerca nato non si sa se per buona stella e per caparbia volontà e desiderio di sfida a Torino quando la ricerca sembrava essere campo esclusivamente romano.
Questo “Studio” nasceva dalla lettura anzi dalla folgorazione di Marco Isidori per le Serve di Jean Genet, scrittore “maledetto” quando il termine non era ancora di moda. Un atto unico la cui composizione e pubblicazione è stata rocambolesca perché Genet aveva smarrito il copione (che non fu mai ritrovato). Non si perse d’animo e, chiuso in albergo, in tre giorni lavorando giorno e notte lo riscrisse. Ovviamente non sappiamo se fosse del tutto fedele alla prima stesura e del resto non lo sapeva neppure lui. Da allora la pièce che Genet avrebbe voluto – come del resto tutto il suo teatro – fosse recitata da uomini travestiti ha conosciuto una grande fortuna e diversi approcci in tutto il mondo. Chi scrive ne ha viste più di un’edizione sia in italiano che in altra lingua, ma quel lontano Studio del 1985 diventato poi spettacolo nel 1986 è stato il primo e il più spiazzante.
L’ho rivisto in questi giorni presentato da Stanze in via Mortara 4 a Milano in uno spazio pluridisciplinare raccolto a simpatico che si chiama la Corte dei miracoli con il titolo (perfetto) di Memoria dello Studio per le Serve tratto da Jean Genet, sempre con la direzione di Marco Isidori, con la scena e i costumi di Daniela Dal Cin e l’interpretazione di Maria Luisa Abate ed ex novo Paolo Oricco. Il comunicato stampa sottolinea giustamente “da Jean Genet” perché non si tratta del testo genettiano parola per parola, ma di un’elaborazione che ne conserva però il nucleo fondamentale.
Di quella prima volta avevo conservato il ricordo di un piccolo, rotondo palco concentrazionario su cui stavano in equilibrio delicato le due sorelle Solange e Claire. Soprattutto ricordavo i lunghi fili di grosse perle che, tirate letteralmente fuori dalle tasche del marsupio del costume di Solange, erano fissate ai bordi di quella strana, minuscola zattera rotonda dove i personaggi stavano abbarbicati tutto il tempo. Una specie di girello infernale che li imprigionava costringendoli a gesti minimi, ripetuti ossessivamente. A dilatarsi, a “scappare” da tutte le parti era invece la recitazione, quel modo “alla Marcido” per niente realistico, lievemente salmodiante che era e ancora è una caratteristica del gruppo.
E allora ecco qui ed ora la Solange di Maria Luisa Abate (bravissima) respiro, gesto, corpo, parola tutto recitato come su di una corda di violino, la piccola, casalinga lampadina elettrica che pende dal soffitto, ballonzolante luce che illumina in quello spazio ristretto il volto di Solange Lemercier, l’assassina che sogna di essere portata in processione vestita di rosso come i condannati a morte, mentre la sorella più sottomessa Claire (qui detta Chiara, la interpreta il bravo Paolo Oricco) la guarda con sgomento.
Le due sono serve di una Signora che odiano e temono e di cui imitano la parlata, la voce, il comportamento indossandone i vestiti quando lei è assente e che avrebbero voluto avvelenare con il Gardenal nella tisana, dopo averle denunciato l’amante. Ma la tisana la berrà, portando alle estreme conseguenze quel gioco infernale, Claire. Assistiamo alla vestizione di Solange, quel suo trasformarsi in una specie di Madonna pellegrina con una “corona” di mollette da bucato in testa: l’immagine allo stesso tempo blasfema e ingenua che ieri come oggi mi colpisce…
Idealmente per i Marcido questo Memoria dello Studio per le Serve è un modo, allo stesso tempo necessario e poetico, di riconfrontarsi con le proprie radici alla vigilia – ci si dice – di uno spettacolo assai impegnativo come Re Lear.
Memoria dello Studio per le Serve
da Jean Genet (1984)
con Maria Luisa Abate (Solange) e Paolo Oricco (Claire)
scena e costumi: Daniela Dal Cin
direzione: Marco Isidori
produzione: Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa