Sindrome italiana

Sindrome italiana

Quasi sempre silenziose e invisibili, venute dall’Est o dall’Asia lontana, le (i) badanti sono il fulcro nel nuovo coraggioso lavoro di Lucia Calamaro e MitiPretese, volto a illuminare una realtà troppo spesso rimossa – Maria Grazia Gregori


Per una volta non solo noi, ma, soprattutto, gli altri. Che hanno a che fare con noi, che talvolta sono necessari alla nostra vita, alla vita di un paese una volta affluente dove nascono pochi bambini. Un paese di vecchi con il benessere e l’evolversi delle cure che allungano la vita anche quando, magari, non se ne potrebbe più. Un mondo di vecchi tipico delle cosiddette società affluenti, dove certe cose che erano compito della famiglia non si fanno più a partire dall’allevare i propri figli per via del fatto che entrambi i genitori lavorano e i nonni latitano, talvolta, anche se ci sono. Ma la macromancanza del nostro attuale vivere è quella dell’assistenza agli anziani, spesso abbandonati in luoghi non degni di essere chiamati case di riposo o nel migliore dei casi di essere affidati a degli estranei, non solo medici ed infermieri ma anche alle cosiddette o ai cosiddetti – perché ci sono anche uomini che lo fanno –, badanti. Sono loro che, dalla mattina alla sera e spesso alla notte o magari per un pugno di ore al giorno, si dedicano all’assistenza dei malati, dei vecchi, delle persone sole. Per farlo abbandonano la propria famiglia per un certo numero di anni. sono persone che vengono soprattutto dai paese dell’Est (a loro sono affidati gli anziani) o sudamericani e filippini (che si occupano in maggioranza di case e di bambini). In ogni caso è indubbio che, per loro, si tratti di uno sradicamento dalle proprie abitudini, dalle famiglie con cui faticosamente si riannodano i fili nei periodi – quando ci sono – delle loro vacanze, spesso lontane molti mesi se non anni. Sempre con la nostalgia e talvolta il dolore per chi si è lasciato, per chi, spesso grazie a loro, vive una vita di benefici ma anche di mancanze, benché la casa dove di vuole tornare diventi così sempre più confortevole, e i figli possano studiare.

La drammaturga Lucia Calamaro si è spesso dedicata a temi non facili, ma sensibili: la malattia, lo sradicamento degli affetti, la solitudine di una vita che spesso non si comprende. Noi e gli altri, insomma. In questo suo nuovo lavoro, Sindrome italiana (in scena al Teatro Santa Chiara di Brescia), che ha affrontato insieme al gruppo MitiPretese formato da tre attrici che spesso firmano regie collettive, come in questo caso – Manuela Mandracchia, Sandra Toffolatti, Mariàngeles Torres – affiancate da Monica Bianchi, ha raccontato una storia di badanti per anziani.

Perché Sindrome italiana? Perché risulta che l’Italia sia il paese in cui vivono e lavorano più badanti straniere che lavorano nelle strutture private o pubbliche oppure nelle case. Lavoro ingrato, duro, difficile, che noi non vogliamo più fare o non siamo in grado di fare se possiamo permettercelo, magari facendo a nostra volta sacrifici. Certo, l’Italia è un paese di vecchi ma anche per via delle progressive difficoltà economiche non è certo che continuerà a essere il paese delle badanti.

Mandracchia, Toffolatti, Torres ci raccontano i gesti quotidiani di queste persone, le loro nostalgie e anche il disadattamento di chi è obbligato a vivere lontano dal proprio paese, dalle proprie abitudini e dai propri affetti. Non dico di essere in completa sintonia con il loro lavoro, dove c’è talvolta troppo e talvolta troppo poco, ma gli riconosco – a loro e alla drammaturga – il coraggio e l’impegno di avere affrontato un tema vero e non facile.

Visto al Teatro Santa Chiara “Mina Mezzadri” di Brescia. Repliche fino al 2 dicembre. Foto di Umberto Favretto

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Sindrome italiana
un progetto di MitiPretese
scritto da Lucia Calamaro
regia MitiPretese (Mandracchia, Toffolatti e Torres)
con Manuela Mandracchia, Sandra Toffolatti, Mariàngeles Torres
e con Monica Bianchi
disegno luci Cesare Agoni
realizzazione Sergio Martinelli
scena e costumi Roberta Monopoli
musiche Francesco Santalucia
assistente alla regia Federica Zacchia
produzione CTB Centro Teatrale Bresciano, Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Fondazione Teatro Due di Parma