Nicola Russo, con la brava Sandra Toffolatti, mette in scena il personaggio della madre che non c’è più, raccontando con coraggio il suo lento estraniarsi dal mondo ma anche la sua immutata capacità di fascinazione – Maria Grazia Gregori
Io lavoro per la morte è il titolo all’apparenza misterioso del nuovo testo di Nicola Russo in scena al Teatro Elfo Puccini di Milano. All’apparenza misterioso perché in realtà di vero c’è la morte, quella ormai avvenuta, della madre del protagonista (lo stesso Russo) che racconta la sua storia in prima persona. L’altra parola “lavoro”, invece, è all’inizio piuttosto indecifrabile, ma in realtà allude al lavoro del figlio di voler raccontare sua madre e in questo modo – pensiamo – di elaborare il lutto della sua mancanza. Una madre piuttosto originale, distratta, gran fumatrice, anzi a un certo punto siamo proprio portati a pensare che sia la sigaretta l’unica cosa a legarla alla vita. Una madre inquieta e un altrettanto inquieta moglie per un padre che non c’è più, poco preoccupata dalla cose di casa, svagata. Ma è stato proprio questo suo comportamento inspiegabile a renderla indimenticabile per il figlio. L’autore ci dice, del resto, che è proprio lei il modello del suo personaggio e ci racconta di come la madre a un certo punto della sua vita si sia estraniata da tutto: dagli amici, dal cibo, dall’ordine, dai figli, scegliendo come metro di vita la solitudine, vivendola in una casa che rischia di assomigliare a una zattera perduta nel mare della dimenticanza forse patologica, come del resto a poco a poco sembra fare questa madre.
Nell’evolversi della storia Io lavoro per la morte assomiglia sempre di più alla cronaca di un lungo addio, pensato da questo figlio che si è sentito e continua a sentirsi come dimenticato ma affascinato da questa madre fuori dalla norma che sembra non fare nulla. Ma a ben pensarci, con il proseguire del racconto non possiamo fare a meno di credere che in realtà per vivere così è necessario un grande impegno, un grande lavoro su se stessi che sembra impossibile perfino alla protagonista. Che, evocata dal figlio, ci appare come una bella donna elegante, svagata, con alle spalle a fare da sfondo un paesaggio cittadino con basse case o alti casermoni e molte piante in fiore in cui è come immersa. E intanto si lamenta di come è stata sepolta senza una lapide, senza una foto: una gettata di cemento e via, come se chi avesse fatto questo avesse avuto una gran fretta di liberarsi di lei. Il figlio rimprovera alla madre la sua assenza e le sue mancanze anche da viva. Una presenza, quella di questa donna, all’apparenza impalpabile ma quanto necessaria che, intuiamo, ha sempre affascinato il figlio proprio per questa sua voluta estraneità e la scelta lontananza.
Io lavoro per la morte è un testo interessante, limpido. Per metterlo in scena a Nicola Russo bastano pochi oggetti – un tavolo, due sedie – a ricordare una casa, e un piccolo schermo sullo sfondo su cui proiettare immagini di case e di natura. Quello che invece è necessario sono gli attori che si immergono nei personaggi a cominciare dalla brava Sandra Toffolatti che traccia con ironia, gusto e un filo di cattiveria la sua madre elegante, svagata, inquieta e terribilmente infelice. Nicola Russo da parte sua nel triplice ruolo di scrittore, regista e attore si conferma interprete di spessore in questo affresco familiare che sembra riguardarlo da vicino.
Visto al Teatro Elfo Puccini di Milano. Repliche fino al 24 febbraio 2019. Foto di Federica Di Benedetto
Io lavoro per la morte
testo e regia Nicola Russo
elaborazione drammaturgica Nicola Russo e Sandra Toffolatti
scene e costumi Giovanni De Francesco
luci Cristian Zucaro – video Lorenzo Lupano
con Sandra Toffolatti e Nicola Russo
produzione Monstera in collaborazione con Le vie dei Festival – si ringrazia Artisti 7607 e Ilva Garuti