Emma Dante, fedele alla sua forza creativa mai consolatoria, ribalta la fiaba seicentesca di Giambattista Basile per privare del lieto fine e caricare di senso e modernità la storia di due anziane zitelle. Interpretate dai bravissimi Salvatore D’Onofrio a Carmine Maringola – Maria Grazia Gregori
Dal mondo delle fiabe seicentesche di Giambattista Basile, cinquanta storie raccontate in cinque giornate, se mi si passa il paragone una specie di Decamerone in lingua napoletana, con il titolo Lo cunto de li cunti, vero e proprio capolavoro che mescola alto e basso, i nobili e i poveracci, Emma Dante ha tratto uno spettacolo che è quasi un manifesto e che raccoglie il senso, la ricerca, del suo modo di fare teatro. Lo spettacolo che è arrivato al Piccolo Teatro Grassi di Milano, nato nell’ambito del Festival di Spoleto è La scortecata che rispecchia, come tutte le fiabe del mondo, la possibilità di essere crudeli o dolci, avere un lieto fine o un finale violento, dolcezze o orrori, felicità o morte, condanne o riscatto.
Emma Dante in questa sua riscrittura che nel testo di Basile aveva un lieto fine, la cambia di segno: un mondo di poveracci, di emarginati, dei vecchi anzi delle vecchie in questo caso, giunte alla fine della vita che non smettono di inventarsi delle storie immaginarie, che non diventeranno mai realtà. È la storia di due sorelle molto anziane e brutte, una maggiore e l’altra più giovane – si fa per dire ha novant’anni – che sognano l’amore, addirittura il vertice dell’amore, quello del re. Questo re si è innamorato della voce e del mignolo di una di loro che gli viene mostrato aldilà della porta e vuole giacere con lei. Nella fiaba di Basile, dopo aver fatto l’amore, al risveglio il re si rende conto di quanto la donna sia vecchia e brutta e la butta già dalla finestra. La donna non muore perché resta impigliata nei rami di un albero fino a quando una fata la trasforma in una giovane e bella ragazza che il re sposerà.
Dante rovescia duramente questa fiaba: non ci può essere felicità per queste due sorelle, qui interpretate da due uomini (i bravissimi Salvatore D’Onofrio a Carmine Maringola) che vivono una vita grama vestiti quasi di stracci, delle specie di mutande con dietro un accenno di gonnellino a pieghe, battibeccando in continuazione e inventandosi una vita immaginaria per interpretarla, questa vita, e dare un senso alla loro quotidianità senza sbocchi.
Nella scena minimalista – due seggioline, una miniatura del castello regale, una porta, quasi un mondo in miniatura, infantile – le due sorelle vivono al margine di una storia immaginaria, tutta da inventare. Certo c’è il re, certo c’è la notte d’amore (ma è con la sorella che l’altra sembra viverla, in un inquietante gioco di specchi), certo c’è la porta (ricordate il famoso muro della recita dei comici nel Sogno di Shakespeare?). Alla fine la sorella più giovane, con una parrucca rossa e un lungo abito (assistiamo a questa trasformazione di spalle come se fosse una magia di qualche ciarlatano), farà l’amore con il re ma non ci sarà nessuna fata a renderla giovane e bella. E allora invoca la sorella affinché prenda un coltello per scorticarla viva, come se togliendole la pelle vecchia potesse dare vita a una pelle e a una vita nuova. Un atto sanguinario, ma in questo caso non si può incolpare la crudeltà della fiaba (che, come già detto) termina diversamente, ma crudeltà impietosa della vita, desiderio di annientamento, questo sì.
Come sempre Emma Dante ribadisce anche in questo spettacolo la sua forza creativa, mai consolatoria, che nasce dal corpo, dai gesti e – ovviamente – dalle parole, ma corpo e gesti potrebbero bastare, talvolta, da soli a raccontare una storia che è fatta anche di difficoltà a vivere dentro uno spazio, dentro un corpo che si rifiuta: che è poi quello che succede spesso nella vita e che qui si dimostra.
Visto al Piccolo Teatro “Grassi”. Repliche fino al 14 aprile 2019
La scortecata
liberamente tratto da “Lo cunto de li cunti” di Giambattista Basile
testo e regia Emma Dante
elementi scenici e costumi Emma Dante
luci Cristian Zucaro
con Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola
produzione Festival di Spoleto 60, Teatro Biondo di Palermo
in collaborazione con Atto Unico / Compagnia Sud Costa Occidentale
oordinamento e distribuzione Aldo Miguel Grompone, Roma