Ideato dal gruppo francese Théâtre de la Mezzanine e messo in scena a Milano nell’ambito della rassegna “Stanze”, la pièce recitata ottimamente dall’attrice camerunense Carine Jiya racconta la storia di Marshall Walter “Major” Taylor, il primo nero a vincere un titolo mondiale nel ciclismo – Maria Grazia Gregori
Pochi sport come il ciclismo sono stati così popolari da meritarsi una fama leggendaria. Forse perché è stato uno sport, almeno nei primi tempi della sua storia fino a mezzo secolo da oggi, che metteva un uomo solo di fronte alle difficoltà, alle fatiche, alle esaltazioni degli amatori. E come poteva non essere visto come un eroe quell’uomo solo al comando che spesso doveva percorrere impervie strade sterrate, sfidando i capricci della natura, la stanchezza, la fame e la sete e dimostrare non solo la propria bravura ma anche il carattere, lo slancio interiore per poterli superare scatenando tifi leggendari.
Chi scrive ha seguito voracemente da bambina la radio che raccontava di Bartali e di Coppi e più tardi, del fascinoso Koblet e del celeberrimo e per lungo tempo imbattibile arrampicatore che era il lussemburghese Charly Gaul. I cantautori più tardi decantarono le gesta di questi campioni, poesie e racconti furono scritti in loro onore e vincere il Tour de France, valeva addirittura di più di una battaglia.
In un luogo curiosissimo e impagabile di Milano, scoperto dalle due infaticabili inventrici di Stanze, Rossella Tansini e Alberica Archinto, il REcicli Bikes & Café di Corso Manusardi, in uno spazio piccolo con biciclette che spuntavano ovunque, ho visto uno spettacolo che mi ha commosso dal titolo Le Nègre volant che nasce da una storia vera. Uno spettacolo creato da un gruppo francese – il Théâtre de la Mezzanine – che nato in lingua francese era per l’occasione recitato in italiano dalla bravissima attrice camerunense Carine Jiya (foto) che interpretava il ruolo della figlia Sidney e che per recitare il testo per noi l’aveva imparato in una giornata.
È bastato poco per capire che quella che stavamo ascoltando, scritta e diretta da Denis Chabroullet, era una storia vera. Una storia addirittura leggendaria che aveva per protagonista l’americano Marshall Walter “Major” Taylor che a cavallo fra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento era stato il primo nero a vincere un titolo mondiale nonostante nel suo paese molto gli fosse proibito perché si considerava che il ciclismo fosse uno sport “da bianchi”.
Malgrado le provocazioni, le intimidazioni, la segregazione razziale, Major è campione del mondo su pista a soli 20 anni, ma ha anche modo di rivelare il proprio talento sulle piste francesi spinto dal fatto che la Francia è il paese dei diritti umani fin dal tempo della Rivoluzione francese e dunque non ci dovrebbero essere difficoltà per lui. Ma anche lì conosce se non proprio il razzismo lo sciovinismo francese, che è feroce nel non volere ammettere la sua superiorità sugli atleti di casa. Malgrado le avversità, l’ostracismo, le violenze, Major, che intanto ha messo su famiglia, guadagna moltissimo denaro con le sue imprese sportive: può fare stare bene la sua famiglia, comperare casa in un quartiere frequentato solo da bianchi, vivere nell’agiatezza. Ma compie delle operazioni finanziarie sbagliate aprendo e chiudendo attività, e queste difficoltà lo metteranno in una crisi irreversibile con la famiglia dalla quale si separerà, consumando i suoi ultimi soldi nell’editare la sua autobiografia che non avrà fortuna. La figlia Sydney racconta tutto questo partendo dalla fine, intercalando delle canzoni, dal giorno in cui Major viene rimandato nella sua città d’origine in una bara da poveri per essere sepolto in una fossa comune. Uno spettacolo semplice e un racconto avvincente che affronta temi come quello del razzismo che valgono per ogni luogo, ahimè, anche oggi ma che racconta con parole semplici il difficile eroismo quotidiano di chi non vuole abbassare la testa e continuare a battersi per la sua dignità.
Visto a Milano, nell’ambito della rassegna Stanze
Le nègre volant
Théâtre de La Mezzanine (Francia)
con Carine Jiya
testo e regia di Denis Chabroullet
colonna sonora di Roselyne Bonnet des Tuves