La storia della detenzione e dell’assassinio di Aldo Moro è una di quelle che si vorrebbe forse dimenticare ma fa bene Fabrizio Gifuni a ripercorrerla con misura e una gestualità secca, quasi da oratorio civile – Maria Grazia Gregori
Uno spettacolo allo stesso tempo inquietante e commovente quello con cui Fabrizio Gifuni ha inaugurato la stagione del Piccolo Teatro Grassi. Si tratta di Con il vostro irridente silenzio dedicato alla figura di Aldo Moro, importante esponente della Democrazia cristiana, sequestrato quarant’anni fa dalle Brigate rosse dopo l’assalto in via Fani, a Roma, alla macchina sulla quale viaggiava e a quella della sua scorta, uccisa prima del suo rapimento. Uno spettacolo che ci ributta in faccia fatti che avremmo voluto dimenticare ma che ci inseguono da allora con la loro verità allo stesso tempo dolorosa e violenta. Un pezzo di storia italiana che ha portato via con sé fra attentati e uccisioni la nostra giovinezza.
Dunque ricordare per fare sapere, conoscere. Credo sia stato questo a spingere Fabrizio Gifuni a mettere in scena questo spettacolo costruito su fatti che i libri di storia perlopiù non analizzano, rimanendo quasi sconosciuti ai giovani. Credo che solo la passione per una parola che sia anche “altro” spinga questo nostro attore atipico e profondo a certi incontri: penso a Gadda, Pasolini, Testori. Ma questo spettacolo per il periodo che stiamo vivendo assume – almeno così mi pare – una tragica attualità e quanto Gifuni legge, dice, accompagnandosi con una gestualità scarna, secca trasforma tutto questo quasi in un oratorio, laico e civile che vuole parlare a tutti, rinchiudendoci quasi in un abbraccio finale che non è esibizionismo ma oserei dire casto, e forse proprio per questo più commovente.
Dopo quaranta anni le lettere di Moro scritte ai figli, alla moglie, ad alcuni esponenti della Democrazia Cristiana, alcune semplicemente struggenti, affettuose sono state ritrovate in due diversi momenti nel covo di via Monte Nevoso, a Milano. La prima volta dai carabinieri di Carlo Alberto Dalla Chiesa, la seconda venne alla luce dopo anni quando i nuovi proprietari della casa fecero dei lavori: era una memoria più corposa, scritta di suo pugno dallo statista. In entrambi, in modi diversi, Moro perorava il suo rilascio, la sua salvezza. Non fu così e in un’escalation di silenzi comprese che per lui era finita. E questa ultima parte in un crescendo di recriminazioni nei confronti dei suoi compagni di partito, ma anche di altri partiti e perfino nei confronti del papa Paolo VI e del Partito comunista è fortissima. Sconvolgente e di insolita durezza è la parte dedicata a Giulio Andreotti, per lui quasi l’immagine del male (e i notabili delle DC diranno “non è il vero Moro”). Sappiamo com’è finita questa storia: in via Caetani a Roma, dentro il bagagliaio di una macchina, posteggiata a metà strada far la sede della DC e quella del PCI.
Di tutto questo Gifuni, applauditissimo, ci parla con grande passione civile e grande bravura in semplicità: gli bastano un leggio e un tavolino, una sedia dove non siederà mai. Con un grande senso del luogo in cui si trova: il mitico palcoscenico di via Rovello – l’ha ricordato all’inizio – dove è salito per la prima volta quando venne scelto da Luca Ronconi come uno degli interpreti di Lehman Trilogy.
Visto al Piccolo Teatro “Paolo Grassi”. Repliche fino al 17 ottobre 2020. Foto Musacchio, Ianniello & Pasqualini
Con il vostro irridente silenzio
Studio sulle lettere dalla prigionia e sul memoriale di Aldo Moro
ideazione, drammaturgia e interpretazione Fabrizio Gifuni
si ringraziano
Nicola Lagioia e il Salone internazionale del Libro di Torino,
Christian Raimo per la collaborazione,
Francesco Maria Biscione e Miguel Gotor per la consulenza storica