Grande parata di star internazionali per il pluricentenario festival veronese, che nell’arco di tre mesi offre una vetrina sul belcanto mondiale, tra divi ed artisti emergenti dell’opera lirica. Davide Annachini
L’Arena di Verona Opera Festival, dopo la grande stagione del centenario dell’anno scorso, non ha dormito sugli allori limitandosi ad un’edizione di rimessa, ma ha rinnovato il livello di una rassegna di indubbio respiro internazionale. L’impronta artistica della sovrintendente Cecilia Gasdia si è riconfermata quella di fare del festival una vetrina di grandi artisti, impegnati a rotazione nelle sei opere in cartellone (più concerti e spettacoli di danza), in modo da offrire cast nuovi ed esclusivi di recita in recita, nell’ottica di una panoramica non solo sulle migliori voci in circolazione ma anche su quelle emergenti, destinate di sicuro a una carriera di prestigio. Forte di alcuni spettacoli collaudatissimi e di grande impatto popolare, come la Turandot e la Carmen di Zeffirelli, la Tosca e il Barbiere di Siviglia di De Ana, la cosiddetta “Aida di cristallo” di Poda contrapposta a quella storica del 1913 di De Bosio (unica novità di quest’anno la Bohème firmata da Alfonso Signorini), il festival veronese ha dato fuoco alle polveri già con l’evento d’apertura in mondovisione “La grande Opera Italiana Patrimonio dell’Umanità”, dove veramente sono sfilati anche solo per un’aria tutti i più grandi nomi della lirica (fatta eccezione per Anna Netrebko, impossibilitata all’ultimo), a dimostrazione di come l’Arena abbia recuperato quell’allure di un tempo che la vedeva palcoscenico obbligato per qualsiasi star internazionale.
Anche se questa serata – che ha visto la partecipazione prestigiosa di Riccardo Muti alla presenza delle massime autorità dello Stato – era innegabilmente improntata a una finalità divulgativa di taglio prettamente televisivo, con tutte le alterazioni acustiche del caso dovute ad un’amplificazione che teneva conto più delle esigenze tecniche che di un ascolto attendibile per il pubblico presente in Arena, nelle successive recite in cartellone gli equilibri fonici si sono assestati, a cominciare dalla Turandot inaugurale.
Qui abbiamo ritrovato alcune pregevoli conferme, come il Calaf eroico, svettante e al tempo stesso poetico di Yusif Eyvazov, la stupenda Liù di Mariangela Sicilia, dai pianissimi incantevoli e dallo struggente lirismo, il nobile Timur di Riccardo Fassi, ma soprattutto la rivelazione di una Turandot atipica come quella di Ekaterina Semenchuk, che da mezzosoprano – accreditato soprattutto nel repertorio verdiano – si è cimentata in una delle parti più ardue di soprano drammatico. Scommessa vinta non solo con una saldezza e uno slancio vocali impressionanti ma anche per il taglio personalissimo della sua Turandot, dal timbro scuro e dall’interpretazione impetuosa ma anche ricca di sfumature. Un omaggio al centenario pucciniano perfettamente riuscito, grazie anche al debutto areniano di Michele Spotti, uno dei giovani direttori ospitati dal festival, che ha dimostrato il fatto suo nel siglare un’esecuzione di ottimo risalto drammatico e suggestivo lirismo, cui la fastosa messinscena di Franco Zeffirelli, fiabesca e spettacolare, ha garantito un successo scontato.
Anche il ritorno dell’Aida firmata da Stefano Poda – surreale, onirica, dalle architetture virtuali disegnate dai laser e dagli splendidi costumi mosaicati in swarovsky – ha rinnovato l’impatto di uno spettacolo imponente quanto lontano dalla tradizione areniana, forse ancora più suggestivo a un anno di distanza, in cui alla prima – sotto la direzione collaudata per questi spazi di Marco Armiliato – si sono segnalati il Radames ancora aitante, espressivo e alla fine vincente di un settuagenario Gregory Kunde e l’interessante Aida di Marta Torbidoni, dalla solida vocalità di soprano lirico-spinto e dalla pregevole sensibilità d’interprete, insieme alla vibrante e incisiva Amneris di Agnieszka Rehlis, al massiccio Amonasro di Igor Golovatenko, all’austero Ramfis di Alexander Vinogradov.
Sicuramente la ripresa del Barbiere di Siviglia è risultata più a fuoco rispetto a quella discontinua dell’anno scorso: lo spettacolo storico di Hugo De Ana ha dato l’impressione di essere stato rinfrescato nelle scene, dai giganteschi labirinti di rose, e più curato nella regia, tuttora godibilissima. Anche la direzione di George Petrou, al suo esordio areniano, ha rivitalizzato l’esecuzione, con ritmo, vivacità e misura, in cui hanno svettato il Figaro impagabile di Mattia Olivieri, vocalmente brillantissimo e scenicamente accattivante, e la Rosina di Vasilisa Berzhanskaya, dalla stupenda voce di mezzosoprano, dalla grazia smaliziata, dalla gradevolissima figura. Ma – al loro debutto in Arena – altrettanto bravi sono stati René Barbera, un Almaviva elegante e virtuosisticamente rifinito, e Paolo Bordogna, un Bartolo un tantino sottolineato ma sempre divertente, insieme all’ottimo Basilio di Roberto Tagliavini e alla Berta pungente di Marianna Mappa.
Nella Carmen sempreverde di Zeffirelli (per quanto profondamente scremata rispetto alla prima edizione del 1995), oleografica ma di immancabile gradimento per il pubblico areniano, l’attesa era incentrata su Aigul Akhmetshina, giovanissima protagonista dell’opera di Bizet già nei teatri di tutto il mondo, dal Covent Garden di Londra al Met di New York. Voce bellissima per colore, ricchezza di armonici, omogeneità in tutta l’estensione, quella del mezzosoprano russo è stata un’autentica rivelazione, ancor più perché abbinata alla freschezza dell’interprete e alla bella presenza scenica. Un po’ usurati in zona acuta ma tutto sommato validi nella restituzione dei rispettivi personaggi sono stati Francesco Meli, un Don José più compassato che passionale, ed Erwin Schrott, un Escamillo guascone e plateale, insieme alla delicata Micaela di Kristina Mkhitaryan. Anche qui un giovane direttore debuttante a Verona, Leonardo Sini, ha mostrato qualità pregevoli di concertatore e interprete, nel siglare una Carmen vibrante e sentimentale, molto apprezzata dal pubblico.
E, prima di arrivare alla recita conclusiva del 7 settembre, ancora tante saranno le occasioni per ascoltare in Arena altre opere e altre voci, come Netrebko, Kaufmann, Beczala, Domingo, Tézier, Enkhbat, Salsi, Yende, Pratt, Brownlee, Bolle, in un autentico firmamento di stelle internazionali.
Visto all’Arena di Verona Opera Festival, giugno-luglio 2024