San Francisco Ballet: grande danza a Spoleto

Primo dei due appuntamenti con la danza del 57.mo Festival dei Due Mondi (l’altro è con la Paul Taylor Dance Company) lo spettacolo del San Francisco Ballet riporta in Italia una delle maggiori compagnie di balletto nordamericane, con fuoriclasse da tutto il mondo Silvia Poletti

Dal prossimo anno Alessandra Ferri non curerà più la sezione danza del  Festival dei Due Mondi. C’è da augurarsi che chi la sostituirà sia programmatore accorto e consapevole e mantenga alta e in qualche modo ‘speciale’ la selezione di compagnie da presentare, spesso in esclusiva, all’appassionato pubblico spoletino. In questi anni Ferri aveva caratterizzato le sue scelte con un preciso riferimento allo spirito stesso del festival (il legame con gli Stati Uniti che nell’ambito coreografico tanto hanno dato nei decenni passati), senza affondare il tasto nell’offerta più radicale, ma comunque coerentemente attenta ad indicare, oltre alle maggiori realtà coreutiche del paese, i nuovi coreografi e le compagnie più interessanti, magari affiancandole ad analoghe realtà europee. Filo rosso, la danza/danza – declinata sempre con rigore, consapevolezza, stile, devozione, che fosse lo straordinario tap di Savion Glover, l’emozione a fior di pelle di John Neumeier, l’astrale bellezza di Forsythe, l’energia dei Cedar Lake. Vedremo insomma cosa succederà, augurandoci che il ragionamento sulla danza a Spoleto continui a livelli alti e la piazza non diventi triviale terra di conquista di mercanti camuffati da impresari artistici con velleità culturali.

Comunque Ferri si accomiata idealmente con un colpo da maestra, riportando al Teatro Romano, dopo trent’anni, il San Francisco Ballet. Ovvero una delle massime formazioni ‘classiche’ americane, storicamente la più antica, certo la più prestigiosa della costa Ovest. La dirige più o meno da allora l’islandese Helgi Tomasson, di sicura fede balanchiniana – essendo stato principal del New York City Ballet per molti anni – ma nel corso del tempo sensibile alle forti folate innovative provenienti dall’Europa, che hanno permesso alla compagnia di assumere un respiro più dinamico, un’estetica più attuale e un ‘attacco’ atletico e spettacolare utile ad attualizzare il vocabolario super-accademico.

Sarà per questo forse che è anche una delle compagnie più internazionali d’America, con artisti provenienti da tutto il mondo. Se n’è visto un meraviglioso esempio a Spoleto, dove il programma scelto ha soprattutto esaltato la raffinata qualità dei solisti californiani, il cesellato lavoro di braccia e gambe, la cantabilità dei movimenti che si dipanano con quella serena grandezza che è una virtù assoluta del linguaggio accademico. In questo ha primeggiato, nel primo titolo, un balletto concertante dello stesso Tomasson per otto danzatori – 7 for Eight su musiche bachiane- una delle più belle, misteriose e magiche danzatrici della scena mondiale: la cinese Yuan Yuan Tan flessuosa come un giunco, dalle linee infinite e dalla musicalità intensa e spirituale – un’apparizione nei due bei duetti con Tilt Helimets. Da tenere d’occhio anche la russa Maria Kochetkova, fresca, briosa, piedi bellissimi e grande respiro di movimento, nel frizzante Voices of Springs un duetto sull’omonimo valzer di Strauss che l’inglese Frederick Ashton declinò nel 1977 come piéce d’occasion per una edizione del Pipistrello e poi diventato uno showcase perfetto per la celebrazione del neoclassicismo britannico’storico’, in cui la ballerina si esalta in lift mozzafiato e in una corsa ‘jetée soutenu’ effetto ralenti che vale da sola tutto il pezzo (onore al partner Davit Karapetyan).

Premiato al Benois 2012 come miglior coreografia dell’anno, Variations for Two Couples dell’allora ottantenne maestro olandese Hans Van Manen ci ricorda, come dicevamo sopra, come il linguaggio accademico abbia saputo e ancora sappia trovare energia, estetica e poetica contemporanea in Europa. Nelle linee nervose delle punte delle ragazze in calzamaglia (la forte Sofiane Sylve, la femminile Sarah Van Patten), nel contraltare scattante degli uomini (Luke Ingham e Carlos Quenedit), in quella musicalità che vibra di emozioni trattenute, di una conflittualità sottile tra le coppie si riconosce la poetica di un Maestro assoluto del balletto del secondo Novecento, che dalle linee dell’accademia ha tratto forza per le sue rigorose geometrie visive, sempre ammantate però di un sentimento trattenuto ma reale, che lo rende attualissimo.

In questo senso, invece, suscita molte perplessità From Foreign Lands, creazione 2013 in prima italiana del quotatissimo Alexei Ratmansky: un divertissement ispirato alle danze folcloriche di vari paesi europei su musica di Moszkowski. Lavoro manierato, stucchevole a tratti, con tutti i lezi e vezzi del campionario ballettistico di una volta, che però piace tanto a un certo tipo di pubblico americano. Un balletto vecchio fin dai costumi, troppo descrittivi, e le moine che cadenzano le varie situazioni, ragazze che sgonnellano, ragazzi baldanzosi: le citazioni da Bournonville o Petipa qui suscitano il sospetto di una mancanza di ispirazione vera. Non lo salva veramente nemmeno il paio d’occhi neri di Mathilde Froustey, la parigina che ha lasciato l’Opéra per fare la prima ballerina al San Francisco Ballet. Che a Ratmansky stare troppo a lavorare a New York stia facendo male?

Visto al 57 Festival dei Due Mondi, Teatro Romano, Spoleto il 4 luglio 2014. Prossime date europee : Parigi, Theatre du Chatelet , 10-26 luglio 2014 presso il Festival Les Etes de la Danse