Tre creazioni dominate dal tema della solitudine, dell’abbandono, della paura. Tre coreografi visionari: Philippe Saire, Olivier Dubois ed Enzo Cosimi. Una ‘turba’ di danzatori uomini e una sola donna, ma eccezionale – Silvia Poletti
Da tre anni Civitanova Danza, che da venti è una delle rassegne più importanti dell’estate italiana, ha trasformato la sua formula: accanto ad alcuni eventi di grande richiamo non a caso chiamati La Notte della Stella (quest’anno è Alessandra Ferri, in Evolution, il 28 luglio), propone due serratissime serate con tre spettacoli ciascuna, dislocati negli spazi teatrali della cittadina marchigiana, tra cui la chicca antica dell’ Annibal Caro nella parte alta.
Questi festival nel festival hanno gradualmente spostato la linea artistica della manifestazione su territori più contemporanei, rasentando l’audacia di proposte estreme e mettendo il pubblico, target generalista, di fronte a segni spiazzanti, talvolta difficili da decodificare e impegnativi da intendere, restando pronti a coglierne le reazioni, ma altrettanto coerenti nel sostenere le proposte in cui si crede, convinti che prima o poi il valore verrà confermato.
Per esempio, due anni fa l’estenuante Revolution di Olivier Dubois (oltre due ore di serrata coreografia circolare per diciassette danzatrici sul Bolero di Ravel) aveva suscitato varie perplessità da parte del pubblico del Teatro Rossini, colto di sorpresa di fronte alla visionarietà contorta, cupa e ambigua di questo coreografo immaginifico e ‘crudele’.
Oggi invece, ritornato con Memoires d’un seigneur, una prima assoluta che Civitanova Danza ha condiviso, letteralmente, con il festival BolzanoDanza, Dubois irretisce, travolge, suggestiona il pubblico e lo ‘fagogita’ immergendolo nel delirio teatrale di questo ‘Seigneur’ – un antico cavaliere? Un tiranno? Forse un leader di oggi, o trivialmente una rock star?
L’oscurità in cui si muove Sebastien Perrault, busto nudo, lunga barba da icona medievale – è fisica e metaforica: il buio della coscienza, della solitudine, dell’orrore, della paura. A renderla ancora più amplificata – e qui sta il colpo di genio – è la presenza di una trentina di uomini che fanno da ‘coro’ alla tragedia di questo uomo solitario: un coro che rifrange le sue angosce e il suo carisma. Dubois li ha scelti tra comuni cittadini di varie età, tra i 18 e i 70, a Bolzano e a Civitanova, in una modalità, ormai defintivamente sdoganata, di fusione tra linguaggio alto del corpo, rappresentato dal vigoroso Perrault, e basso, ovvero comune, di questi baldi e bravissimi coprotagonisti. Non semplice cornice, ma anzi, parte attiva della drammaturgia – ora nella foga di corse inarrestabili che ricordano l’impeto alla battaglia, ora in gruppi di corpi accatastati come vittime di una follia guerresca, ora infine antropofagi pronti a sacrificare il leader – questi uomini rappresentano la turba senechiana – massa animalesca, furibonda nelle passioni esaltanti ed eccessive: poco serve che il Signore brandisca la spada, o apparecchi il tavolo su cui si issa, ma viene poi divorato (metaforicamente) dagli altri. La dialettica tra Sebastien e la ‘turba’ è serrata, intensa, evocativa; La visionarietà di Dubois la rafforza grazie all’uso sapiente dello spazio dove la muraglia umana si erge e si sfrange e alla calibratura delle luci, bellissime, che trasforma tutto in affreschi caravaggeschi.
Nel primo ‘festival nel festival’ sono vari i denominatori comuni. Innanzi tutto la preponderanza della coreografia al maschile (Dubois con i suoi trenta più uno; il duetto Neons di Philippe Saire, la novità assoluta di Enzo Cosimi – dove appare però l’unica eccezionale interprete femminile, Paola Lattanzi). Si nota anche una certa omogeneità morfologica: tutti con barba e scapigliatura obbligatorie. E a pensarci bene c’è un sentimento comune dominante: la paura. Dubois la ritrae amplificando le ansie del suo uomo solo al comando; Enzo Cosimi, in Fear Party la evoca in un duetto dove Paola condivide il sentimento con Pablo Tapia Leyton. Cimento intrigante, anche perché la paura è qualcosa di inafferrabile e molto personale. Il suo punto di partenza è però per tutti la reazione istintiva al pericolo e Cosimi, che dell’istinto ha fatto la materia centrale della sua ricerca poetica, se ne impossessa con quella ‘golosità’ che lo contraddistingue. L’esplorazione dell’emozione diventa forma di seduzione sensuale, di desiderio di compenetrare nell’altro per non soccombere – come ci dimostra il primo abbagliante duettare in cui Paola e Pablo, sporchi, scarmigliati, nudi, lacerati, forse reduci dal cataclisma? – si avviluppano in un ‘corpo a corpo’ poderoso, violento, crudo, ma poetico. Tra ferraglie di treni che passano, e voci di guerriglieri latini che inneggiano alla rivoluzione i due rappresentano la paura come condizione quotidiana di questa era post/o pre cataclismica. Ed è tanto forte l’incipit che nel proseguimento, quando subentra il simbolismo delle cose, con cestini che nascondono parti dei corpi e ottundono le voci, la tensione cala, il messaggio si ingarbuglia, paradossalmente diventa meno leggibile: niente che però un po’ di editing non possa efficacemente risolvere.
La giornata civitanovese si era aperta nella piccola sala Cecchetti, dedicata al celebre maestro di danza dei Ballets Russes originario della città. Qui Philippe Chasson e Peip Garrigues, guidati dallo svizzero Philippe Saire, si muovono nel circoscritto spazio della scena, tra scritte scorrevoli che colgono squarci di una storia all’epilogo ( “sono un bastardo!”, “È troppo!”) e barre al neon che fungono da barriere da superare o semplici strumenti per mettere meglio a fuoco l’altro. Si racconta la fine di una storia: un rapporto che si sfalda, che ha un vincitore e un vinto. Fatti della vita, come lo sono la paura, la solitudine, la prevaricazione e la sconfitta. A ben pensarci, in fondo, sono tutti frammenti di un discorso esistenziale tradotto nei vari idiomi della danza.
Visto il 18 luglio al CivitanovaDanza Festival di Civitanova Marche. Nella foto un momento di Memoires d’un Seigneur