La Batsheva Dance Company torna in Italia con ‘Tre’, un lavoro che esalta l’arte della coreografia e la bellezza dell’essere danzante. Un inno alla bellezza dell’umanità che ci rimette in pace con il mondo, nonostante tutto – Silvia Poletti
Le Variazioni Goldberg sono un’architettura musicale eretta su un mirabile gioco matematico. Il tre è alla base della struttura: le trentadue variazioni immaginate da Bach per il musicista omonimo di Casa Von Bruhl si basano infatti sul gioco algebrico della triplice variatio di uno schema fisso, declinato tra simmetrie, canoni e antitesi, che grazie al genio del musicista si trasformano in sublime.
Per Tre, lavoro a serata del 2005 visto con la Batsheva Dance Company in prima nazionale al Teatro Comunale di Modena per la stagione di danza 2016 – il coreografo leader della formazione israeliana Ohad Naharin è appunto partito dal fondamento della struttura musicale bachiana per elaborare la struttura dello spettacolo (tripartito) e le singole coreografie, che non a caso si aprono proprio sulle declinazioni delle Goldberg nell’iconica interpretazione di Glenn Gould.
La sessione, intitolata Bellus apre a varie letture. Perché bellus non è pulcher – bello –, piuttosto è affine a bonus, ovvero alla endiadi estetica-etica della virtù interiore che si trasforma in esuberante armonia esteriore, e al più vuol dire ‘gagliardo, energico’. Quindi ecco che davanti a noi, sulla scena vuota e illuminata parcamente, questi sedici danzatori in pantaloni al polpaccio e tee shirt colorate – alti, bassi, scuri chiari, esili o muscolosi – hanno il compito di riportarci all’essenza stessa etica/estetica della danza, attraverso l’ incomparabile attacco che è solo loro, attraverso una sequenza di duetti, soli, insiemi che si strutturano seguendo i dettami algebrici bachiani. Concettoso? Forse, ma solo all’apparenza. Perché in sostanza quel che si vede in scena è un flusso di movimento che è scolpito nello spazio ma, seppure atletico, non è muscolare; è energetico ma non è energico; febbrile ma non convulso. Un linguaggio che intelligentemente applica tutte le regole spaziali della scrittura coreografica – da quelle della classicità con i canoni, gli unisoni (splendidi), le contrapposizioni – a quelle moderne e contemporanee della casualità e dell’evento; così come declina tutti gli idiomi, dal balletto alle danze di sala, in una celebrazione intelligente, amorosa e appassionata di quest’arte. Il che poi è in fondo la poetica del coreografo israeliano, plasmata sui suoi strepitosi danzatori, ormai tutti educati alla tecnica gaga che lo stesso Naharin ha a suo tempo messo a punto, partendo dall’analisi, lo sviluppo e elaborazione delle energie individuali.
Se nella seconda parte Humus, terra, il solo comparto femminile si muove su tappeto sonoro di Brian Eno praticamente all’unisono, come unica materia fisica ancorata alla terra e ad essa attratta (secondo le filosofia della maestra di Naharin, Martha Graham) è con la terza sequenza – Secus, ovvero ‘altrimenti’ – che torna sottile l’idea della variatio, dell’inatteso, della rottura dello schema prefissato. In questa sequenza per tutti infatti quello che pensiamo di vedere diventa qualcos’altro: un duetto contact al maschile si trasforma in ballo sensuale, quasi un tango con tanto di aggancio; un salto che sembra divorare lo spazio improvvisamente si ferma nel tempo e nell’aria. Qui il virtuosismo dell’autore che sbriglia e lancia la sua fantasia esalta la bravura assoluta dei suoi interpreti, ma accanto alla bellezza del movimento, c’è sempre la morale di gesti che significano, che parlano: siano delle mani protese verso di noi, sia l’ostensione dei sessi in una lunga promenade che richiama canoni classici e che ci accomuna tutti.
Coreografo puro nel senso del suo amore assoluto per la danza, Naharin conferma di essere uno dei più rilevanti autori del nostro tempo e la sua strepitosa compagnia una (la?) delle migliori nell’ambito della danza d’autore contemporanea. Vale dunque la pena segnarsi sul taccuino la loro prossima apparizione italiana, con Last Work, al festival di Ravenna (6 luglio) o Deca Dance al Festival di Spoleto (1,2,3 luglio) e a TorinoDanza (6 settembre). Per i cultori della materia si tratta di un appuntamento imperdibile.
La foto in apertura è di Rolando Paolo Guerzoni