Fine pena: ora

Adattato per il teatro da Paolo Giordano a partire dal libro di Elvio Fassone, lo spettacolo appassionatamente diretto da Mauro Avogadro racconta il farsi di un rapporto prima epistolare e poi intensamente umano fra un mafioso condannato all’ergastolo e il suo giudice. Bravissimo Paolo Pierobon nei panni del carcerato, misurato Sergio Leone in quelli del magistratoMaria Grazia Gregori

In questi giorni è possibile vedere al Piccolo Teatro Grassi uno spettacolo – Fine pena: ora – allo stesso tempo inaspettato e quanto mai educativo nel mostrarci contrasti eterni come quelli fra bene e male, giustizia ed espiazione, senso profondo della necessità della pena e desiderio di farcela in qualche modo grazie al suo esatto contrario: la voglia di uscirne a tutti i costi, ma senza voler fare una morale. Qui non c’è nessuna conclusione totalmente positiva come succedeva nella favole con morale degli antichi (“la favola insegna che…”) perché qui (almeno così a me pare) tutto ruota attorno alla scelta della propria esistenza. Succede allora che lo spettacolo mostri la forza di un apologo contemporaneo e l’umanità dirompente di un pezzo di vita, vissuta per davvero.

Fine pena: ora affonda le sue radici in un libro scritto dal giudice Elvio Fassone, magistrato al Csm, eletto alle politiche e che tornerà a rappresentare la giustizia come presidente del tribunale nel maxi processo contro la mafia catanese che si tenne a Torino a metà degli anni Ottanta con pesanti condanne per quei mafiosi. Con uno di questi, il ventisettenne Salvatore, condannato all’ergastolo per i suoi delitti, Fassone inizia quasi subito una corrispondenza che si trasformerà in un libro, edito da Sellerio, che Paolo Giordano – non nuovo alla fascinazione e al confronto con il teatro – ha adattato per le scene.

Scandito da frammenti musicali in una serie di quadri dal sapore quasi brechtiano, che la limpida, appassionata regia di Mauro Avogadro sottolinea, Fine pena: ora si svolge nella scena idealmente divisa a metà di Marco Rossi mostrando i due protagonisti, il giudice (lo interpreta, con saggia misura, senza mai posare da padre nobile Sergio Leone) e l’ergastolano che si esprime in un curioso misto di dialetto siculo-italiano che può contare su un bravissimo Paolo Pierobon, testa rasata con tanto di cresta centrale di capelli che ne fa un personaggio di forte, fascinosa intensità.

Prima quasi incapsulati nei loro rispettivi spazi, poi impadronendosi uno dello spazio dell’altro, lo spettacolo mostra in modo forte, quasi come un tarlo segreto, la fascinazione del giudice verso il condannato, che non si pente ma che ha compreso come la curiosità, la conoscenza, la cultura possano essere un possibile viatico verso un riscatto personale che occupa un lungo spazio della vita di entrambi catturandoci dentro una specie di diario epistolare che non fa sconti. È qui che i due si pongono reciprocamente importanti domande su questioni morali e sociali per arrivare alla questione delle questioni: c’è una forma di riscatto possibile nel pentimento (che qui non esiste) o nel ravvedimento? Del resto gran parte del dialogo ruota attorno non tanto all’enormità dei delitti e delle conseguenti pene quanto piuttosto alla vita, anzi a una possibilità di vita, di affetti, di una normalità addirittura vagheggiata e perfino sul modo corretto di esprimersi. Del resto il contrasto fra i due personaggi nasce anche dalla diversità del loro linguaggio: pacato, quasi sommesso e mai prevaricante quello del giudice; quasi brutale, smozzicato e primitivo nella sua semplicità quello del detenuto, che nel corso del tempo ha tentato il suicidio non riuscendoci, carico di risentimento e poi intrigato dalla possibilità di un dialogo, sia pure a distanza, con una persona che appartiene a un altro mondo. Due che ci appaiono così lontani eppure così vicini che la scenografia scandita a quadri simili a fotogrammi di un film contrappone ma anche avvicina uno dall’altro. Da vedere.

Visto al Piccolo Teatro Grassi di Milano. Repliche fino al 22 dicembre 2017

Fine pena: ora
di Paolo Giordano
liberamente tratto dal libro di Elvio Fassone
regia Mauro Avogadro
scene Marco Rossi
costumi Gianluca Sbicca
luci Claudio De Pace
musiche Gioacchino Balistreri
con Sergio Leone e Paolo Pierobon
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa