La pausa agostana scende come una cesura tra i festival di prima estate e le rassegne che ci accompagneranno da fine agosto nell’autunno. Occasione per raccogliere le idee e fare una sintesi di quanto abbiamo visto e percepito, inseguendo spettacoli e incontrando artisti in giro per l’Italia.– Silvia Poletti.
C”è un diffuso malumore tra alcuni artisti della danza italiana, di diverse generazioni ( la fascia è quella tra i trenta e i cinquanta) che si sentono spesso emarginati – da rassegne e piattaforme italiane- perché ancora usi a fare danza. Quasi che, per una specie di ideologia imperante ma non detta, la loro visione legata al fare coreografia in senso ‘tradizionale’ ( che poi tradizionale ovviamente non è) li faccia considerare passatisti, o peggio ancora ‘non di moda’. Ad esplicitare il disagio, nel corso di un talk pre-spettacolo nell’ambito di Civitanova Danza, è stato il trentaquattrenne Paolo Mangiola, cresciuto artisticamente all’Aterballetto e poi soprattutto con Wayne McGregor, oggi direttore e coreografo di ZFINMalta, la compagnia nazionale dell’isola mediterranea. Il quale, forte anche della sua esperienza internazionale, ha sollevato perplessità su come, a differenza di altrove, in Italia sia dominante tra i programmatori un certo tipo di proposta ‘concettuale’ e ‘radicale’ con evidente rifiuto della danza di linee, di tecnica, e di contenuto. E’ una constatazione raccolta anche da altri coreografi e bisognerà certo fare su questo una riflessione seria. Intanto però notiamo che nello specifico Civitanova Danza, ha fatto una scelta ‘controcorrente’, visto che i due autori italiani ospitati nella serata speciale del ‘festival nel festival’ (format originale all’interno di una programmazione eclettica e ad ampio raggio) hanno invece posto al centro dei loro lavori proprio la ‘tradizionale’ struttura coreografica.
Mangiola con Voyager, ispirato alla capsula ricca di suoni e immagini del nostro pianeta inviata nello spazio nella romantica speranza di incontrare nuove presenze, elabora un lavoro elegante, molto curato visivamente, dove gli spunti dell’ispirazione si traducono in immagini fisiche armoniose, in costante dinamica. Disarticolato e mobile, policentrico e fluido il movimento che si sviluppa senza soluzione di continuità in formazioni varie, da duetti a insiemi, che dilagano nello spazio in un turbine costante e caleidoscopico di figurazioni. Si sente ancora l’influenza del mentore McGregor nell’approccio alla costruzione e alla messa in scena, ma al di là dei riferimenti il lavoro di Mangiola autore è promettente quanto già efficace quello di guida della giovane formazione maltese.
L’altro autore italiano protagonista del Festival nel Festival, Riccardo Buscarini ha molti punti di contatto con Mangiola. Coetaneo, ha studiato e lavorato in Italia ma soprattutto a Londra, dove si è diplomato alla London Contemporary Dance School. Da lì una vita da free lance, premi coreografici, commissioni internazionali ( con candidature a premi come Golden Mask russa). Come Mangiola ha studiato classico e contemporaneo, ama la costruzione e la decostruzione del meccanismo compositivo e la dinamica del movimento, e come l’altro non disprezza linee, bei corpi, strizzate d’occhio alla tecnica accademica. La Suite Escape vista in prima assoluta nel delizioso Teatro Annibal Caro, nonostante l’ora tarda tiene sveglio l’interesse per l’idea di base e il suo sviluppo. Si parte dall’archetipo ballettistico per eccellenza, il pas de deux – qui celebrato anche musicalmente, nelle’esecuzione dal vivo del pianista Benedetto Boccuzzi di celebri pagine Ciaikovskiane, ma anche Minkus e Adam ( a tratti in illuminante versione swing). Ma soltanto lontanamente l’autore cita – quando capita- un riferimento stilistico e linguistico ai capisaldi del repertorio. Piuttosto inanella un quartetto in abiti vagamente retro dove l’idea di partnership viene esplorata dal punto di vista fisico,tecnico, strutturale ma anche simbolico. Là dove la regola vuole che l’uomo ‘sparisca’ dietro la ballerina per esaltarne grazia e musicalità, qui si impone anche fisicamente in un dialogo corporeo che spesso ha l’energia di una sfida. I quattro si affrontano, talvolta lasciando qualcuno palpitare solo, a terra (sull’evocativo adagio del Lago), alla ricerca di un anelito vitale o di una ebbrezza emotiva ormai perduta. Si corre sulle schiene degli altri, quasi a superare ostacoli o tentare il decollo, ma il volo dei cigni non è previsto in questa fisica e serrata partitura di passi, prese, cadute e rialzate che rimandano al gusto compositivo dell’ultima Brown. La piéce risulta interessante, benchè in qualche punto allenti la tensione, anche per la capacità di creare situazioni teatrali ( chi sono i quattro? Che relazioni hanno tra loro?)non conclamate né necessarie all’assunto iniziale, ma allo stesso tempo intriganti. La formazione Equilibrio Dinamico, che ha invitato alla sfida l’autore piagentino, è la scommessa di Roberta Ferrara di radicare in Puglia una formazione artistica votata alla qualità delle performance e alla scrittura coreografica: sicuramente promettente va certamente considerata un valore aggiunto nel rigoglioso e variegato panorama coreografico che sta emergendo in quella regione.
A proposito di coreografia di ambito contemporaneo e di definizione di una riconoscibile cifra stilistica ( che è poi sintesi di una poetica e visione del mondo) si può dire che Ohad Naharin è stato uno dei nomi ‘caldi’ dell’estate. Nel suo stile così fisico e terrestre, viscerale, capace di profondi abissi fisici e improvvise celestiali visioni c’è il segno di un caposcuola che ormai ha definito la ‘scuola israeliana’ e ha fatto molti epigoni. Ben due formazioni hanno danzato il medesimo pezzo di Naharin ( che come usa, cambia però ad hoc la struttura dei suoi lavori patchwork): al Florence Dance Festival la Batsheva The Young Ensemble e a Bolzano Danza la tedesca Eric Gauthier Dance Company hanno affrontato Deca Dance: la prima con quell’attacco, quell’assoluta easiness, quella libertà fisica e atletica tipica dell’eponima formazione maggiore, in un fluire dinamico possente, con repentini cambi di stile e dinamica, energia e estetica da far perdere la testa. La seconda, con la passione estroversa e l’entusiasmo coinvolgente che arrivano là dove inevitabilmente certe sfumature dello stile di Naharin sono più complesse da mettere in luce. Curiosità: sia BtYE che Gauthier hanno chiuso il loro Deca Dance con il pezzo Secus – da Three E appunto non c’è due senza …il terzo: Aterballetto debutterà con la medesima coreografia il 6 settembre al festival Oriente Occidente, Rovereto. Ne riparleremo. (1.continua)
In apertura Suite Escape, foto Manuel Cafini