Sipario

Dentro la Riforma. Ariotti (Colline Torinesi): “Riforma necessaria ma mancano i soldi”

Sergio Ariotti chiude per ora il già ampio e diversificato ventaglio di pareri che Delteatro.it ha raccolto in merito al Decreto di riforma dello spettacolo dal vivo. Malgrado le novità positive introdotte, il direttore artistico del Festival delle Colline Torinesi lamenta la scarsità degli investimenti pubblici, la poca chiarezza degli incentivi per i privati e il ruolo trascurabile assegnato ai festivalPuntata 8

Sgombriamo il campo da un possibile fraintendimento: la riforma del sistema teatrale con il passaggio dai Teatri Stabili ai Teatri Nazionali, la creazione dei Tric e quant’altro prevede, avvia una trasformazione di significativa portata. Quali reali benefici produrrà complessivamente è difficile per ora prevederlo.

L’aspetto più rilevante del cambiamento è di sicuro correlato, prima ancora che alla metamorfosi strutturale, alla progettualità triennale che ci parifica, quanto allo spettacolo dal vivo, con i più importanti paesi europei. Era un leit-motiv piuttosto ricorrente la lamentela degli operatori teatrali italiani in difficoltà nei rapporti con i partner stranieri abituali a strategie pluriennali.

L’effettiva praticabilità della “riforma” dipende tuttavia da una consistente crescita del volume di economie destinate al Fus. È bene non dimenticare infatti che la percentuale di spesa pubblica per la cultura (intorno all’1% o ancor meno) continua a vederci in Europa, in compagnia della Grecia, nella zona retrocessione. Dunque è difficile cambiare le regole senza porre rimedio a questa scandalosa politica. I sinistri scricchiolii che provengono da alcuni Teatri Nazionali già lo dimostrano.

Detto che i finanziamenti statali per il teatro non devono essere ancora tagliati magari in nome di un liberismo di maniera (quali sponsor privati potrebbero avere interesse a sostituirsi a quelli pubblici in presenza di un incerto quadro di defiscalizzazione dell’investimento culturale?) e detto che sarebbe opportuno non abusare dell’abbinamento cultura-turismo come panacea di tutti i mali, resta, a chi dirige un Festival di creazione contemporanea, una forte preoccupazione specifica. Una preoccupazione che riguarda il nuovo teatro appunto (vogliamo chiamarlo ancora: di ricerca?). Se la riforma si pone tra i suoi obiettivi l’abbattimento di rendite di posizione e il ricambio generazionale perché i Festival che da anni sono in prima linea per garantire a Spiro Scimone, alla Socìetas Raffaello Sanzio, a Motus, a Fibre Parallele ecc, ecc, una dignitosa visibilità nazionale vengono ripensati, soppesati, finanziati per ultimi tra gli ultimi?

Perché i Festival che da anni si sono sostituiti al teatro pubblico per “accompagnare” le giovani generazioni vengono trascurati? Siamo certi che Teatri Nazionali, Tric, Centri di produzione possano ereditare i compiti dei Festival ingessati nella faticosa ricerca di giornate lavorative? Decideranno le commissioni cos’è innovativo e cosa no?

Fine Puntata 8 (continua)

Leggi la Puntata 1
Leggi la Puntata 2
Leggi la Puntata 3
Leggi la Puntata 4
Leggi la Puntata 5
Leggi la Puntata 6
Leggi la Puntata 7