La stagione lirica della Fenice di Venezia è stata inaugurata dal ritorno sul podio di uno dei massimi direttori internazionali, Myung-Whun Chung. Memorabile la sua interpretazione dell’opera verdiana, che si aggiunge a quelle fornite in precedenza – Davide Annachini
Il Ballo in maschera con cui si è inaugurata la stagione 2017/18 del Teatro La Fenice presentava la sua maggiore attrattiva nel ritorno a Venezia di uno dei massimi direttori internazionali, Myung-Whun Chung, destinato a lasciare nella città lagunare un’altra memorabile interpretazione verdiana, dopo quelle di Traviata, Rigoletto, Otello e Simon Boccanegra affrontate negli ultimi anni.
Il maestro sudcoreano ha raggiunto nella sua maturità artistica una statura espressiva di assoluto rilievo che, al di là delle eccezionali qualità tecniche dimostrate sin dagli esordi, ha rivelato un interprete quanto mai suggestivo e intenso, in grado di aggiungere una parola nuova a un repertorio su cui apparentemente tutto sembrerebbe già stato detto. Questa sua lettura del Ballo, ad esempio, ha scoperto un taglio personalissimo e al tempo stesso coerente con lo spirito verdiano, nell’alternare il mistero alla solarità, la nobiltà alla passione, la leggerezza alla tragedia, ponendo particolare attenzione alla tinta drammatica di ogni singola scena, in un continuo cangiare di suggestioni che per l’appunto fanno di quest’opera uno dei capolavori di versatilità teatrale di Verdi. L’apparente duttilità nella scelta dei tempi, che potevano risultare sensibilmente dilati quanto incalzanti a seconda del momento scenico, ha caratterizzato una lettura attentamente centrata sulla cifra psicologica dei personaggi, soprattutto su quella del protagonista, venato in tutta la sua esuberanza e passionalità di una nota malinconica davvero struggente e quanto mai intonata a delinearne l’intima solitudine.
Per un’opera e per un’interpretazione come queste era indispensabile un tenore all’altezza della situazione e sicuramente Francesco Meli era quanto di meglio si potesse chiedere, perché per la raggiante bellezza del timbro, per l’espansione del canto e per la generosità dell’espressione il suo Riccardo non teme forse confronti al momento. Protagonista a tutti gli effetti, quindi, grazie a una caratura vocale e interpretativa che calzano perfettamente tanto alla figura del governatore illuminato quanto a quella dell’innamorato appassionato e sicuramente meglio rispetto ad altri proibitivi cimenti verdiani di Meli, come Manrico e Radames, in cui le intenzioni non sempre sono state esaudite dai risultati. Detto questo, però, la tentazione a cantare sempre al massimo della potenza – anche in una sala contenuta nelle dimensioni ed estremamente sonora come quella della Fenice – ha portato Meli a qualche incidente di percorso, come le piccole incrinature nei tentativi di mezzevoci o i soliti irrisolti problemi sugli acuti (che suonano sempre un po’ indietro e faticosi), avvertiti in particolare nella splendida aria dell’ultimo atto. E gli apparenti “omaggi” a tenori del passato, come le risatine alla Bonci in “È scherzo od è follia” o le inspiegabili “esse” emiliane alla Bergonzi, più che di vecchio gusto sono sembrate di cattivo gusto nei confronti degli insuperati interpreti di Riccardo.
Il resto del cast alternava luci ad ombre: il Renato di Vladimir Stoyanov si è imposto per la bella linea baritonale, timbrata ed elegante, oltre che per la misurata ma incisiva qualità interpretativa, mentre Amelia ha trovato una Kristin Lewis irriconoscibile rispetto ai suoi notevoli standard abituali, per gli scompensi tra un registro acuto svettante, uno centrale pressoché afono e uno grave forzatamente di petto, insieme a una resa del personaggio alquanto generica. Quanto a squilibri tra i diversi registri anche l’Ulrica di Silvia Beltrami ha mostrato il suo tallone d’Achille, risolvendo comunque il ruolo con professionalità, mentre Serena Gamberoni si è confermata ancora il miglior Oscar in circolazione, per la luminosa pienezza della vocalità di autentico soprano lirico e per la spontaneità della comunicativa scenica, che hanno riscattato il ruolo da tutte le pungenti stucchevolezze di tradizione. Bene gli interpreti minori, tra i quali vanno almeno segnalati l’incisivo Silvano di William Corrò e, in coppia con il Tom di Mattia Denti, il potente Samuel di Simon Lim. Buone le prestazioni dell’Orchestra e del Coro della Fenice, quest’ultimo preparato da Claudio Marino Moretti.
La regia di Gianmaria Aliverta spostava la vicenda dalla Boston seicentesca a quella della seconda metà dell’Ottocento, segnata dalla fine della guerra di Secessione e dall’abolizione della schiavitù. Di conseguenza la presenza meticcia e afroamericana diventava prevalente, caratterizzando anche il personaggio di Amelia e trasformando quello di Ulrica da sinistra maga in una giunonica Mamie di Via col vento, mentre le scene di Massimo Checchetto – insieme ai costumi di Carlos Tieppo e alle luci di Fabio Barettin – spingevano sulla cifra statunitense, con l’invadenza di bandiere a stelle e strisce e di una monumentale Statua della Libertà, su cui si consumava l’uccisione dell’impavido Riccardo, vittima della sua magnanimità tanto in politica quanto in amore. Spettacolo nell’insieme coinvolgente – più nei primi due atti che nell’ultimo – e applaudito insieme a quasi l’intero cast, con punte di entusiasmo per Meli e meritate ovazioni per Chung.
Visto al Teatro La Fenice di Venezia il 3 dicembre
UN BALLO IN MASCHERA
Melodramma in tre atti
Libretto di Antonio Somma da Gustave III, ou Le Bal masqué di Eugène Scribe
Musica di Giuseppe Verdi
Riccardo Francesco Meli
Amelia Kristin Lewis
Renato Vladimir Stoyanov
Oscar Serena Gamberoni
Silvano, un marinaio William Corrò
Ulrica, indovina Silvia Beltrami
Samuel Simon Lim
Tom Mattia Denti
Un giudice Emanuele Giannino
Un servo d’Amelia Roberto Menegazzo
Direttore Myung-Whun Chung
Regia Gianmaria Aliverta
Scene Massimo Checchetto
Costumi Carlos Tieppo
Luci Fabio Barettin
Movimenti coreografici Barbara Pessina
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti
Coro di voci bianche
Maestro del CoroDiana D’Alessio
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice