Secondo e ultimo carnet di pensieri, riflessioni e valutazioni -su artisti spettacoli e trend- dopo incontri, scoperte, rivelazioni e non solo offerte dall’estate della danza in Italia. – Silvia Poletti
La danza contemporanea di matrice israeliana si sta sempre più radicando anche in Europa. Vero è che è lì che negli ultimi venticinque anni si è manifestata una delle più interessanti espressioni – fisiche ma anche poetiche- dell’attuale coreografia mondiale. C’è di fatto un grande caposcuola –Ohad Naharin lo è. E altri autori di riferimento, come per esempio Rami Be’er della Kibbutz Dance Company. Inevitabilmente, così, chi ha gravitato in quell’area ne assorbe stilemi e modalità, vezzi e escamotage. Del resto si deve pur partire da qualche riferimento, no? Si tratta poi di trovare una propria via espressiva, da sviluppare autonomamente.La tedesca Gauthier Company, diretta con uno spregiudicato sguardo al marketing ma anche alla qualità coreografica dal canadese Eric Gauthier, ha offerto occasione di riflessione sul tema durante la sua variegata serata a Bolzano Danza festival, dove è compagnia associata per tre anni, conclusa come s’è visto proprio con una piéce di Naharin.
La coppia Roni Haver e Guy Wezman per esempio mostra come una forte radice tecnica dalla corposità ed energia tipiche della ‘scuola’ israeliana possa fondersi con l’immaginario onirico post espressionista della scuola olandese e nordeuropea – dove vivono e lavorano- in un duetto (For D) caratterizzato da curatissime sciabolate di luci che tagliano l’oscurità,e nebbie che avvolgono un ambiguo alternarsi tra il sentimentale e il prevaricante. Il giovanissimo Eyal Dadon, che invece è nato artisticamente alla Kibbutz, prende dal suo mentore il gusto per la teatralità accentuata e una danza umanizzata scandita da musica cubana – mambo e cha cha- mossa da cinque in giacche e pantaloni neri. L’effetto è però deja vù, ampliato proprio dalla scelta musicale che rimanda a ben più gustose variazioni coreografiche su ritmi latini ( Naharin docet). Nondimeno è innegabile la vitalità e creatività della ‘corrente’ che per osmosi influenza anche chi non è originario del paese, ma ha collaborato con artisti lì nati e formati.
Da tenere d’occhio, nonostante alcune bizzarrie del programma proposto ( oltre a Bolzano Danza è stata anche al festival Fuori Programma a Roma e sarà al Festival Aperto a Reggio Emilia in autunno) la tedesca Sita Ostheimer. Assistente di Hofesh Shechter -israeliano multitasking come coreografo musicista regista, che ha scelto l’Inghilterra come base di lavoro, da qualche tempo Sita ha iniziato un suo progetto creativo in cui la fisicità estroversa e vitalistica trova una diversa modalità di ‘diffusione’ temporale e spaziale, determinata da un attento ascolto delle ‘voci di dentro’- le emozioni e gli stati d’animo- che colorano le dinamiche. Ne esce una ‘strana’ qualità di danza che accanto alla corporeità muscolare, ostinatamente mostrata in tutte le sue accezioni, mette in rilievo una curiosa sensazione di flou, di vago e indefinito, quasi di ‘galleggiante’ e liquido.
Tornando agli artisti italiani della danza attuale ci sono due danzatrici/performer/coreografe la cui qualità di movimento, la nettezza con cui sviluppano dinamiche e energie, si appropriano dello spazio -roteando, vibrando, guizzando, palpitando- è in totale assonanza. Non a caso hanno anche collaborato in diverse occasioni. Al di là del pensiero coreografico – che comunque perseguono entrambe con rigore intellettuale, che poco concede alla spettacolarità, ma diventa spettacolo proprio grazie alla qualità della loro performance- sono davvero due interpreti esemplari.
E insieme a Simona Bertozzi, altra danzatrice/performer/coreografa di qualità e Ramona Caia, musa ‘bambina’di Virgilio Sieni, probabilmente le migliori in campo. Di loro piace il rigore, la consapevolezza di quello che fanno, il controllo, la padronanza del gesto fino nei minimi dettagli ( interessantissimo l’uso delle mani e delle braccia), che va oltre la proposta coreografica -o magari l’avvalora proprio grazie alla loro bravura. Sono Cristina (Kristal) Rizzo e Annamaria Ajmone, viste e applaudite- la prima in VN solo version, in cui danza da sola la Verklarkte Nacht di Schoenberg a Fabbrica Europa; l’altra in Trigger, sempre a Bolzano Danza.
Sul cotè classico l’estate italiana, salvo una importante apparizione dell‘ Hamburg Ballet di John Neumeier al Ravenna Festival in un programma musicalmente intenso ( Beethoven, Bernstein, Mahler) e di un gruppo di solisti dell’ Het Nationale Ballet al Festival di Spoleto per celebrare un altro maestro del neoclassicismo europeo, Hans Van Manen, è stato dominato da gala stellari (quello in varie piazza italiane di Bolle e i suoi amici, che però passano anche nei cast del brand Les etoiles– questa estate a Ravenna: e forse in questi casi un po’ di esclusività non guasterebbe).
Ma il vero protagonista è lui: Sergei Polunin. Che ha attraversato l’Italia, da Ravello al rinato festival di Nervi, dal Florence Dance Festival a Civitanova Danza scatenando l’attenzione dei media e la corsa degli spettatori con il suo Sacré, che nonostante la grandezza del danzatore, continua a suscitare le riserve del debutto. Ma il vero appuntamento con Polunin è il 26 agosto all’Arena di Verona. Qui debutterà una nuova versione di Romeo e Giulietta, su musica di Prokofiev firmata da Johan Kobborg: una rivisitazione intensa e teatralmente potente per Polunin e una Giulietta ideale, come la superstar Alina Cojocaru. E finalmente, dopo l’acclamata Giselle di qualche anno fa, anche in Italia rivredemo Polunin in un ruolo a tutto tondo. E che ruolo!