Felice recupero del rarissimo Falstaff di Antonio Salieri, celebre quanto dimenticato “rivale” di Mozart, per il mezzo secolo di attività del Teatro Filarmonico di Verona. Davide Annachini
Per festeggiare i cinquant’anni dalla riapertura del Teatro Filarmonico e l’avvio della stagione invernale alternativa a quella del festival, la Fondazione Arena di Verona ha voluto riproporre l’opera inaugurale del 1975, legata al maggiore compositore locale, il Falstaff di Antonio Salieri. L’occasione si rivelava non solo celebrativa, vuoi per la rarità del titolo vuoi per l’edizione critica curata da Elena Biggi Parodi per Casa Ricordi, che puntavano decisamente sulla priorità musicologica dell’iniziativa, nel far luce su un compositore all’epoca famosissimo ma oggi praticamente scivolato nel dimenticatoio.
Antonio Salieri, partito dalla bassa veronese di Legnago alla volta di Vienna, divenne il musicista di spicco alla corte imperiale negli ultimi decenni del Settecento nel ruolo esclusivo di Kapellmeister, come rappresentante di riferimento per l’opera italiana. Ma a livello europeo la sua fama non fu da meno, se si pensa solo che a lui venne assegnato nel 1778 il privilegio di inaugurare un teatro nuovissimo come la Scala di Milano – con la pomposissima e celebrativa Europa riconosciuta – e soprattutto che dei suoi insegnamenti fecero tesoro musicisti come Beethoven, Schubert, Meyerbeer. La convivenza negli stessi anni e sulla stessa piazza con Mozart divenne in seguito oggetto di una fantomatica rivalità, che da Alexander Puskin a Miloš Forman (regista dell’indimenticabile Amadeus cinematografico) contribuì a bollare il presunto invidioso Salieri come personalità sinistra, al punto da essere additato quale avvelenatore del genio salisburghese, quando invece tutt’altra fu la storia. Triste quindi rilevare che il ricordo di un artista così celebre più che alla sua produzione musicale proprio a questo malefico connubio con il nome di Mozart sia tuttora collegato. La storia come sempre ha poi dato il giusto merito a ognuno, decretando che Mozart era un genio e Salieri forse no, ma in ogni caso sicuramente meritevole di un’attenzione maggiore rispetto all’ostracismo dei nostri tempi.
La riproposta del suo Falstaff l’ha confermato: per quanto costellata da pagine di qualità – talvolta pittoresche come quella in tedesco con cui Mrs. Ford si presenta nelle vesti di mezzana al tronfio seduttore (antesignana della futura Quickly verdiana), talvolta dal respiro tipico delle grandi arie da opera seria con strumento obbligato (come quelle di Mr. Ford, personaggio di maggior rilievo nel contesto generale) – l’opera fatica a reggere a livello drammaturgico, dove lo svolgimento delle tre burle ispirato alle Allegre comari scespiriane risulta frammentario, come la definizione dei personaggi spesso sfuggente. Di certo l’inevitabile confronto a posteriori con il Falstaff verdiano, per quanto incongruo, la penalizza pesantemente (ma perché questo non succede tra l’Otello di Rossini e quello di Verdi, capolavori assoluti nel loro genere?…) ma anche il più diretto paragone con il Don Giovanni mozartiano di dodici anni prima – in cui il rapporto del protagonista con Leporello troppo scopertamente viene qui evocato da quello Falstaff-Bardolf – fa impietosamente emergere quanto il Salisburghese guardasse avanti mentre l’Italiano, seppure alle soglie del nuovo secolo (1799), fosse tutto proiettato all’indietro.
Detto questo, l’edizione veronese si è rivelata quanto mai meritevole, anche perché sorretta da un’esecuzione ottimamente riuscita, diretta con levità, brio e teatralità da Francesco Ommassini a capo dell’orchestra e del coro areniani, quest’ultimo preparato da Roberto Gabbiani. Felicissimo il cast: Giulio Mastrototaro è stato un Falstaff pressoché perfetto, per la voce ampia e bella, usata con morbidezza e sorretta da una linea espressiva sempre misurata, brillante, accattivante, Gilda Fiume ha prestato a Mrs. Ford la sua vocalità cristallina, vaporosa e musicalissima mentre Marco Ciaponi ha tratteggiato le ansietà in odore di corna di Mr. Ford con un timbro tenorile pastoso e limpido, accollandosi con onore le pagine più impegnative dell’opera. A seguire, Michele Patti ha tratteggiato un Mr. Slender gustosissimo, soprattutto nei giochi vocali tra timbro baritonale e falsetto della sua aria, Laura Verrecchia è stata una vibrante e spigliatissima Mrs. Slender, insieme alla pungente Betty di Eleonora Bellocci e al Bardolf di Romano Dal Zovo.
Lo spettacolo di Paolo Valerio (autore di regia e costumi, insieme a Ezio Antonelli per le scene e le proiezioni e a Claudio Schmid per le luci) si è fatto apprezzare per la cifra brillante e mai caricata, che ha tenuto le fila della narrazione, non sempre garantita dal libretto discontinuo di Carlo Prospero Defranceschi e tuttavia risolta con ritmo, leggerezza e caratterizzazione dei diversi personaggi, ben lavorati sulla recitazione degli interpreti.
Buono il successo di pubblico, forse non numeroso quanto alla prima dello spettacolo ma molto generoso negli applausi per tutti gli esecutori.
Visto al Teatro Filarmonico di Verona il 22 gennaio