L’esordio di Frigo Produzioni con “SocialMente” rappresenta un segnale confortante sul fronte dell’immissione di nuove idee nel teatro che si fa oggi. È notevole soprattutto per lo sforzo di auto-rappresentazione che lo ispira, spinto alle soglie di una livida caricatura generazionale – Renato Palazzi
C’era il timore, da qualche tempo a questa parte, che l’onda lunga delle nuove realtà teatrali degli ultimi anni stesse esaurendosi, o comunque fortemente rallentando. È dunque un segnale confortante per tutti la scoperta della nascita di altri gruppi di giovanissimi che dimostrano di avere idee ben chiare e mezzi adatti per realizzarle. SocialMente, lo spettacolo d’esordio di Claudia Marsicano e Francesco Alberici, che con Daniele Turconi hanno fondato Frigo Produzioni, è uno spettacolo interessante e molto promettente, non a caso già vincitore della Borsa Teatrale Anna Pancirolli 2014 e di altri bandi e concorsi.
Ex-allievi di Quellidigrock, Alberici e la Marsicano hanno creato un pungente ritratto generazionale, tratteggiando due stralunati esemplari umani inebetiti dai talent show e alienati dai social network. I protagonisti di SocialMente, una ragazza obesa persa nel sogno di diventare una cantante di successo e un ragazzo dall’aspetto allucinato e dal pallore cadaverico per la scarsa propensione a uscire all’aria aperta, sono zombie che fissano nel vuoto, vivono tra lo schermo del televisore e un frigorifero con la F di Facebook, e intrecciano dialoghi dai ritmi esasperatamente rallentati, in tono meccanico, gelidamente impersonale.
La loro conversazione, a tratti alquanto surreale, eppure immersa in una quotidianità che ci sfiora da vicino e forse un po’ – nostro malgrado – ci appartiene, diverte e graffia coi suoi lampi di feroce ironia, ma risulta nel complesso sottilmente agghiacciante: quella che lo spettacolo ci mostra è la grottesca foto collettiva dei figli smarriti e abbandonati a se stessi di un’epoca che ha fatto di tutto per svuotarli, per privarli di qualunque interesse, per renderli indifferenti e incapaci di veri sentimenti. I due sono colti in quella specie di limbo opprimente in cui stanno rintanati a coltivare i loro miraggi digitali, ma potremmo trovarli seduti accanto a noi in tram o incontrarli fra i banchi del supermercato.
Il lavoro, recentemente presentato al Campo Teatrale di Milano, e già in programma in alcuni festival, è notevole soprattutto per lo sforzo di auto-rappresentazione che lo ispira, seppure spinto alle soglie di una livida caricatura: in un periodo in cui tanta parte del nuovo teatro sembra perdersi in astratti esercizi intellettuali, loro hanno chiara la necessità di raccontare la fauna che li circonda, con spietata lucidità. Il loro sguardo acremente critico non è privo di un sottofondo di tenerezza: rappresentano quei loro simili sconvolti e disastrati con sarcasmo, ma senza porsi al di sopra di essi, senza tutto sommato giudicarli, ma giudicando piuttosto la società che li ha fatti diventare così come sono.
La drammaturgia di Alberici è fatta di poche parole e di molti sguardi, di molti silenzi, di movenze epilettiche e compulsive. Ma il testo verbale, pur limitato, mostra lampi di truce intelligenza: il cinico gioco degli handicap (meglio la sedia a rotelle o il ritardo mentale, meglio avere sei dita nei piedi o nelle mani?), le visionarie descrizioni della zia coi piedi deformati dall’artrite, o dei nani che picchiano i bambini, sono dei bei pezzi di teatro, deliranti, cattivi. A questi scambi di battute si alternano interviste fuori campo sui social network, da cui affiora un’ansia di comunicare che non vince la solitudine: ho 540 amici – dice una voce – che però non mi salutano quando mi incontrano». Più ovvio, invece, l’uso di spezzoni di talk show sulla cronaca nera.
A rendere il tutto efficace contribuisce anche la felice vena espressiva dei due interpreti, che hanno il dono di sintetizzare interi discorsi in un gesto, una postura, un’immagine. Va sottolineata soprattutto la forte presenza della Marsicano, bravissima nel mantenere quella sua dizione vacua e come assente, quelle sue intonazioni sfalsate rispetto all’interlocutore, quei suoi interventi sempre in controtempo. Malgrado il fisico ingombrante rivela un’inaspettata agilità, cui si aggiungono delle prorompenti qualità canore: la scena in cui esegue – prima dimessa, poi via via sempre più convinta – Maledetta primavera testimonia una personalità non da poco.
Visto al Campo Teatrale di Milano
SocialMente
di e con Claudia Marsicano e Francesco Alberici
uno spettacolo Frigo Produzioni
ideazione e regia: Francesco Alberici e Claudia Marsicano
drammaturgia: Francesco Alberici
assistente alla regia: Daniele Turconi
Compimentissimi al duo Alberici/Marsicano…..un pò meno a Palazzi/Gasparri, che ancora crede che chi è in sovrappeso manchi di agilità….immagino l’ agilità di palazzi, tra una amatriciana, un pisolo a teatro ed un uso del lessico degno del Maurizione Gasparri nazionale…povera vecchiaia (e povera “curtura” italiota)!
Caro Amico Jon, passi per quel “po’” scritto con la o accentata che grida vendetta e passi pure per l’abbinamento Palazzi/Gasparri che lascia il tempo che trova: ma lei, che recensione ha letto? Le riporto il periodo completo, così può ripassarsela:
Se questa parole potessero, anche lontanamente, apparire offensive, beh, se io fossi un’attore che muove i primi passi darei un braccio per essere offeso così! Non sarà che sotto il suo “nom de plume” si cela qualcuno che ha del tempo da perdere o dell’astio represso? Se è così, nel primo caso, beato lei… Nel secondo, mi spiace davvero molto. Provi i fiori di Bach. Per alcuni sono un toccasana.
PS. Rispondo io e non Renato Palazzi perché non mi va di scomodarlo per certe piccinerie. Stia bene.
Enzo Fragassi