Renato Sarti e Bebo Storti

L’anarchico e il commissario

Nel “Carnevale dei truffati” di Piero Colaprico, Renato Sarti (anche regista) e Bebo Storti si ritrovano nell’aldilà. Complice un dio un po’ giullare (Paolo Rossi in video), tornano sulla Terra per giudicare i fatti degli ultimi decenniMaria Grazia Gregori


Mettere in scena una pagina così tragica e così difficile come quella che riguarda le morti dell’anarchico Giuseppe Pinelli e del commissario Luigi Calabresi e attraverso di loro il tempo delle stragi, non negandosi né la riflessione né il sorriso pensavamo fosse riuscito solo a Dario Fo (in Morte accidentale di un anarchico). Oggi con Il carnevale dei truffati ci ha provato anche un giornalista, cronista puntuto di “Repubblica”, nonché scrittore di gialli come Piero Colaprico – che peraltro aveva già scritto un altro testo teatrale, La città di M – che ha affidato il suo testo a Renato Sarti (anche regista) e a Bebo Storti che oltre a interpretarlo ne hanno curato con l’autore la drammaturgia.

A differenza del testo di Fo, che di quei tragici eventi dava una lettura “politica”, il lavoro di Colaprico sceglie un’altra strada, tutta inventata, ironica, divertente e proprio per questo visto l’argomento, spiazzante. Si immagina dunque l’autore che – per la serie degli incontri impossibili – Pinelli (Sarti) e Calabresi (Storti) si trovino fianco a fianco nell’aldilà e di colpo, con apparente distacco e via via con maggiore passione, si confrontino sugli eventi tragici che li hanno avuti protagonisti scontrandosi, litigando, ma riuscendo inaspettatamente a prendersi un po’ in giro mentre alle loro spalle appaiono immagini e si sentono voci – che valgono di più di tante parole -, dei fatti, delle persone, delle morti, dei funerali che hanno insanguinato il nostro Paese-, a partire dalla madre di tutte le stragi, quella di piazza Fontana alla Banca dell’Agricoltura, che ha segnato l’inizio dei nostri anni di piombo.

A tirare le fila di tutta la storia per la verità c’è un dio un po’ speciale, anzi un vero e proprio deus ex machina che, evocato, appare in un filmato all’improvviso fra le nuvole con tante domande a cui non sa dare risposta e producendosi in una folle performance (è Paolo Rossi al suo meglio), che decide di inviarli certamente non come angeli sulla città ma come veri e propri visitors a Milano, per essere spettatori non visti e del tutto incolpevoli di un presente che certo non avrebbero mai immaginato. C’è solo da scegliere tra i fatti di quegli anni di cui vengono a conoscenza, che hanno seguito le loro morti a partire dalla caduta del muro di Berlino, all’invenzione di Internet, all’11 settembre delle torri gemelle a New York ma c’è anche il tentativo di capire il perché dei 20 anni 20 di berlusconismo, del bunga bunga, delle cosiddette “cene eleganti”, con l’approdo a un presente che non si sentono di condividere. Ma è il “come” siamo diventati che li spaventa e che fa loro scegliere di lasciare da parte i grandi interrogativi dell’esistenza e di tornare in tutta fretta, malgrado lo svaporato dio si mostri recalcitrante, là da dove sono venuti allontanandosi, spalle al pubblico, con la loro camminata alla Charlot, in qualche modo condannati a rimanere insieme “fino a quando la verità dei fatti non verrà a galla”, cioè sempre.

Non avendo letto il testo di Colaprico non posso giudicare il livello dell’intervento di Sarti e di Storti ma l’immagine dello spettacolo è legata a quella coppia di strani clown che, in una specie di deserto, parlano di loro, di niente e di tutto compreso il nodo di sangue che li tiene in qualche modo uniti fra ammicchi e provocazioni, trovando però in loro una strana solidarietà, è sicuramente del duo Sarti –Storti.

Spettacolo sempre esaurito, ancora da mettere un po’a punto e da asciugare, risate e “ripasso” delle situazioni drammatiche vicine e lontane, con recite in più programmate e ripresa la prossima stagione.

Visto al Teatro della Cooperativa di Milano