Dopo undici anni il Balletto del Bolshoi è tornato a Milano, con accoglienza trionfale, presentando due titoli che dimostrano come si possa onorare la tradizione ma essere interpreti del proprio tempo. e con una collana di star dove hanno primeggiato gli strepitosi Lantratov, Smirnova, Chudin e Krysanova. E Vaziev.- Silvia Poletti
Tra i trionfatori della tournée del Balletto del Bolshoi al Teatro alla Scala c’è qualcuno che ha trionfato più degli altri: Makhar Vaziev, attuale direttore del ballo moscovita, per sette anni alla testa del Corpo di Ballo milanese – che grazie a lui si è letteralmente trasformato in una compagnia di standard internazionale. Fa un certo effetto vederlo nel backstage dopo l’ultima acclamata rappresentazione milanese di Bayadére, disinvolto a autorevole nel gestire come un vero maestro delle cerimonie saluti e convenevoli da parte delle autorità e degli ospiti.
Lui al centro del palcoscenico, in mezzo ai suoi ballerini, che plasma con pugno di ferro e guanto di velluto ( tra loro il ventitreenne Jacopo Tissi, ex-scaligero ma oggi astro nascente dell’ultima generazione Bolshoi: bello, elegante, tecnica virile e adamantina), mentre alle due estremità opposte l’osservano il direttore generale del Bolshoi Vladimir Urin – il pacificatore dopo la tempesta seguita all’aggressione all’allora direttore del ballo Sergei Filin- e il padrone di casa Alexander Pereira, qui curiosamente appartato, che Vaziev se l’è comunque fatto scappare ( e con lui, anche per l’improvvida e temporanea nomina a direttore scaligero di Bigonzetti, oltre a Jacopo altri due fuoriclasse ora ad abbellirire la compagnia di San Francisco, Angelo Greco e Carlo Di Lanno).
Del resto i due sovrintendenti incarnano simbolicamente due opposte concezioni sul valore culturale ed economico delle proprie compagnie di balletto: al Bolshoi storicamente pilastro dell’industria e della politica culturale nazionale; alla Scala ancora non pienamente valorizzato, nonostante i lusinghieri consensi internazionali, come nell’attuale tournée cinese dove gli scaligeri guidati ora da Frederic Olivieri stanno riscuotendo un autentico successo.
Magari, però, proprio l’apparizione del Balletto moscovita e le accoglienze entusiastiche del pubblico potranno indurre ad un cambio di strategie anche a Milano. Chissà.
Intanto resteranno negli annali entrambi gli spettacoli presentati nella tournée. La Bayadére, capolavoro esotico di Marius Petipa (1877) è arrivato snellito e alleggerito delle antiche sequenze pantomimiche grazie alla versione di Yuri Grigorovich, fedele comunque all’originale nelle imprescindibili pagine di magistero coreografico, come il celeberrimo Atto delle Ombre, in cui le regole auree della coreografia– semplicità e linearità- si sposano all’intenzione poetica di evocare l’assoluto. Con l’amabile gusto retrò nelle scene dipinte piene di ‘verdura’, le opulenti architetture esotiche e le volute ingenuità nelle macchinerie teatrali che ai tempi suscitavano stupore, La Bayadére resta un gioiello luminoso, esigentissimo con tutti gli interpreti, dai ‘caratteristi’ – come il Grande Brahamino travagliato dal suo ruolo sacro e l’attrazione fatale per la baiadera Nikia – ai solisti delle danze di bravura e di coloritura ( dalla danza Manu, dove la ballerina si muove mantenendo in equilibrio sulla testa una brocca; all’infuocata danza indù a suon di tamburi al virtuosismo duro e puro dell’Idolo d’oro) fino ai protagonisti.
Le tre coppie acclamate a Milano rappresentano di fatto tre generazioni della maison moscovita: quella della maturità con l’ ‘assoluta’ Svetlana Zakharova e il gagliardo Denis Rodkin; quella del presente con la mirabile, bellissima Olga Smirnova insieme al magnifico purista Semyon Chudin e quella del futuro, con i ventenni Tissi e Alena Kovaleva, che condividono la medesima speciale qualità di lirismo, musicalissimo e raffinato che fa brillare la danza in ogni suo fraseggio. Su tutti, poi, svettava il corpo di ballo: qui portabandiera dello stile Bolshoi, grande e glorioso, perfetto e umanissimo, esaltato ovviamente nell’Atto conclusivo, aperto dalla celebre ineccepibile teoria di danzatrici in tutù candidi.
Con La bisbetica domata, che il francese Jean Christophe Maillot, direttore dei Ballets de Monte Carlo, ha creato per i russi nel 2014, si è invece chiaramente percepito come questi artisti siano comunque tutt’altro che cristallizzati in clichès retrivi, ma entusiasticamente ‘voraci’ nel conoscere diversi stili, linguaggi coreografici, visioni teatrali, che solo fino a vent’anni fa erano, comunque, ancora scarsamente praticati in Russia.
Complice una raffinata scelta musicale lieve e ironica (musiche di scena, colonne sonore e suite orchestrali -culminanti in un delizioso Tea for two- firmate con genio da Shostakovich) Maillot si diverte ad applicare i ritmi e le regole del musical stile Vincente Minnelli all’intreccio shakespeariano, regalando un andamento svelto, brioso, divertito e divertente alla storia, ma non mancando di tratteggiare con acume il carattere complesso dei personaggi attraverso un vocabolario intriso di classicità ma rinfrescato nell’espressività e nel ritmo.
Circondate da un agguerrito stuolo di comprimari ( spiccano il guizzante Viaceslav Lopatin come pretendente di Bianca e la governante sofisticata di Anna Tikhomirova) Bianca e Lucenzio da un lato e Caterina e Petruccio dall’altro tratteggiano in maniera diversa il loro discorso amoroso. I luminosi e qui ironici Smirnova e Chudin come la petulante Bianca e l’ingenuo Lucenzio sono ‘retoricamente’ romantici, aggraziati, e svenevoli. E’ però la coppia protagonista a mangiarsi ‘letteralmente’ la scena. Musetto alla Leslie Caron e corpo guizzante la rossa Ekaterina Krysanova ha una fisicità sensuale, molto assertiva per dimostrare la sua volitività. Si fa però (come noi) soggiogare dal Petruccio poderoso, vulcanico, travolgente di Vladislav Lantratov,qui non più principe aristocratico ma vigoroso maschio alfa in pelliccia e stivaloni, che nel bel duetto della camera da letto farà capitolare con tenerezza e eros la sua compagna. Strepitoso. Così, come già a Mosca, a New York, Londra e Monte Carlo, anche alla Scala accoglienza trionfale.